Con la recensione di Fiore di roccia di Ilaria Tuti, faccio qualcosa di assolutamente imprevisto.
I lettori di questo blog sanno, da tempo, del mio impegno a recensire libri di autori quasi sempre diversi, prevalentemente contemporanei, la cui lettura ritengo meriti di essere suggerita.
E’ molto raro infatti che recensisca libri di uno stesso autore a poche settimane di distanza, anche se le occasioni talvolta si presentano. Preferisco infatti privilegiare invece la proposta di nomi sempre diversi in modo di offrire una più ampia gamma di generi, stili e contenuti.
L’autrice di oggi l’ho in effetti scoperta da poco ed il suo romanzo Ninfa dormiente è stato oggetto di una mia recensione solo lo scorso 24 giugno.
Diverso il genere letterario (il primo era un thriller) e buona la storia. Avvincente la scrittura.
Dell’autrice non sapevo nulla ed attraverso i video rintracciabili su Youtube ho avuto anche una prima positiva impressione, delle sue idee e del suo modo di comunicare.
Ed è in uno di questi video, che ho inserito al termine della recensione di giugno, che ho saputo dell’imminente pubblicazione di Fiore di roccia, il romanzo di oggi.
Longanesi pubblica il romanzo proprio in quei giorni. Lo acquisto nella seconda metà di agosto e lo leggo con crescente attenzione, avidità e piacere.
Eccolo a voi attraverso la sinossi/presentazione dell’autrice.
Fiore di roccia
“«Quelli che riecheggiano lassù, fra le cime, non sono tuoni. Il fragore delle bombe austriache scuote anche chi è rimasto nei villaggi, mille metri più in basso.
Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle.
Dobbiamo andare, altrimenti quei poveri ragazzi moriranno anche di fame.
Questa guerra mi ha tolto tutto, lasciandomi solo la paura. Mi ha tolto il tempo di prendermi cura di mio padre malato, il tempo di leggere i libri che riempiono la mia casa. Mi ha tolto il futuro, soffocandomi in un presente di povertà e terrore.
Ma lassù hanno bisogno di me, di noi, e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione.
Risaliamo per ore, nella neve che arriva fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. Il nemico, con i suoi cecchini – diavoli bianchi, li chiamano – ci tiene sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo, mentre ci arrampichiamo con gli scarpetz ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i «fiori di roccia».
Ho visto il coraggio di un capitano costretto a prendere le decisioni più difficili.
Ho conosciuto l’eroismo di un medico che, senza sosta, fa quel che può per salvare vite.
I soldati
ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall’inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire. Ma oggi ho incontrato il nemico. Per la prima volta, ho visto la guerra attraverso gli occhi di un diavolo bianco. E ora so che niente può più essere come prima.»
Con “Fiore di roccia” Ilaria Tuti celebra il coraggio e la resilienza delle donne, la capacità di abnegazione di contadine umili ma forti nel desiderio di pace e pronte a sacrificarsi per aiutare i militari al fronte durante la Prima guerra mondiale. La Storia si è dimenticata delle Portatrici per molto tempo. Questo romanzo le restituisce per ciò che erano e sono: indimenticabili.”
Commenta il Corriere della Sera
“«Ilaria Tuti costruisce un romanzo teso in cui nessuna parola è superflua, nessuna descrizione “decorativa”: le piaghe sulle spalle martoriate delle ragazze, gli occhi “bui” dei soldati, un pasto misero consumato in silenzio, le lacrime trattenute e le poche risate sono le (bellissime) tessere di un mosaico epico e scarno insieme.»”
La reazione del lettori
A poco più di due mesi dalla pubblicazione del romanzo sul sito di Amazon le recensioni dei lettori sono molte e particolarmente soddisfatte.
Mentre sto scrivendo, già 197 recensioni che dichiarano grande interesse e valutazioni molto alte (5 stelle assegnate dall’83% dei lettori recensori, e 4 stelle per un 11%). Quindi 94% di accoglienza altamente positiva.
Ma queste notizie le ho viste solo dopo che avevo deciso che non potevo evitare di segnalarvi il mio personale parere su questo piccolo (solo 241 pagine) romanzo. Fiore di roccia mi è apparsa come una testimonianza viva e profonda, che ho assaporato come uno dei migliori testi che ho avuto modo di leggere in questi ultimi anni.
Racconto scarno e senza ridondanze, ma che si snoda con una verità disarmante e piena di emozione in continua oscillazione tra prosa e poesia.
Merito dell’autrice ma anche della grande drammaticità del momento storico che ne fa da sfondo e della straordinaria umanità dei personaggi ai quali Ilaria Tuti sa mirabilmente ridare vita ed autenticità.
Fiore di roccia è un doveroso tributo
Prima di tutto alle eroine del romanzo e cioè ‘Le Portatrici’, per troppo tempo dimenticate dalla storiografia ufficiale.
Ilaria Tuti riporta nelle sue note finali un’eloquente’ affermazione al riguardo. Scrive infatti:
“Come ha scritto Donato Carrisi nel suo romanzo La donna dei fiori di carta, «Quante donne avrebbero meritato un posto nella Storia umana e sono sparite da essa perché un mondo di maschi ha deciso di non concedere loro pari dignità? Un vero genocidio, se ci pensate».
E fra tutte queste donne una in particolare:
“Maria Plozner Mentil è il simbolo delle Portatrici, l’unica donna a cui sia stata intitolata una caserma. Sua è la frase «Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan»: andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame.
Giovane madre, fu colpita da un cecchino il 15 febbraio 1916, durante una sosta nei pressi di Casera Malpasso, e morì nella notte. Quel giorno Maria era salita in ritardo a consegnare i rifornimenti: aveva dato il latte ai suoi bambini e li aveva sistemati nelle culle; il più piccolo aveva sei mesi.
Fu sepolta con gli onori militari sotto i bombardamenti, alla presenza di tutte le sue compagne e di un picchetto militare. Ora riposa nel Tempio Ossario di Timau, fra 1626 alpini, fanti e bersaglieri, gli eroi del Pal Piccolo.
All’ingresso, una scritta recita un monito che echeggerà nei secoli: «Ricordati che quelli che qui riposano si sono sacrificati anche per te».”
Agata Primus, la protagonista
“E’ la voce narrante del romanzo.
Personaggio di finzione riassume in sé le caratteristiche di molte delle donne che rispondendo all’appello del Comando Militare Italiano daranno il loro contributo alla sopravvivenza degli alpini schierati in trincea.
Attraverso la cronaca quotidiana raccontata con grande semplicità ci trasporta in quel lontano giugno del 1915.
Il romanzo parte con un immagine datata maggio 1976. Sono i giorni del grande terremoto che ha devastato la terra friulana.
“Affondò le rughe delle mani in quelle della terra, in un gesto che racchiudeva la tenerezza del ritorno alle origini, il cercare le radici sul fondo umido, annodarle alle dita e tirare a sé quanto era rimasto, in una parte di mondo che si era fatta breccia dalla valle fino alle vette. La Carnia aveva tremato, il Friuli si era squarciato e sanguinava nel silenzio di polvere. L’Orcolat, lo avevano già ribattezzato i figli della terra schiantata in macerie: l’orco che secondo la leggenda viveva in quei recessi di pietra si era risvegliato, scrollandosi di dosso l’umanità. Il terremoto aveva impresso sui sismografi un tracciato che i telegiornali continuavano a riproporre. Se presa e tirata tra dita immaginarie, quella linea di cuspidi acute avrebbe disegnato il referto di un cuore commosso. Ancora una piccola tensione, e avrebbe ricordato il profilo delle montagne. La donna alzò lo sguardo alle cime e fu come ritrovare un’abitudine mai estirpata, sentirsi ridisegnare tra solchi remoti, per lungo tempo abbandonati. Non rivedeva la sua terra da decenni.
Aveva attraversato oceani per ritornare dove tutto era iniziato, ora che tutto sembrava essere stato cancellato. Eppure i suoi occhi riuscivano ancora a seguire gli antichi camminamenti per la fienagione che si inerpicavano chiari fino ai magri prati d’altura. Il pal era lassù, oltre i boschi, con la sua corona di rocce e di trincee. Mai più solo misero pascolo, ma sacrario benedetto. I calcinacci scivolarono tra le sue dita assieme al terriccio. Riconobbe nel vento il richiamo della valle. E il ricordo di ciò che era stato tornò a scorrerle nel sangue.”
Qualche brano di Fiore di roccia
Dal Cap. 2 – “Ci siamo riunite con il buio, quando gli animali, i campi e gli anziani costretti a letto non avevano più necessità da soddisfare. Ho pensato che da sempre siamo abituate a essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro. Anche adesso, siamo uscite dall’oblio solo perché servono le nostre gambe, le braccia, i dorsi irrobustiti dal lavoro.
Nel fienile silenzioso, siamo occhi che inseguono altri occhi, in un cerchio di donne d’ogni età. C’è chi ha il figlio attaccato al seno. Qualcuna è poco più di una bambina, se di questi tempi è ancora ammesso esserlo, se in questa terra aspra che non concede mai nulla per nulla sia mai stato possibile esserlo. Mi guardo le mani: non sono quelle delle dame di cui leggo nei libri di mio padre. Unghie crepate, schegge che hanno formato calli e un reticolo di ferite rapprese le une sulle altre. In alcune, il terriccio è penetrato in profondità, è diventato carne. Il sangue che ho stillato goccia a goccia nei solchi dei campi mi ha resa più che mai figlia di questa valle.
Le mie compagne non fanno eccezione, hanno corpi forgiati dalla fatica con cui conviviamo ogni giorno. Nate con un debito di lavoro sulle spalle, diceva mia madre, un debito che ha la forma della gerla che usiamo per cullare i figli così come per trasportare fieno e patate.
I bagliori della lampada a olio ci trasformano in confini tremolanti tra ombra e luce, tra ciò che è desiderio e ciò che è obbligo. Non siamo abituate a chiederci che cosa vogliamo davvero, ma questa notte, per la prima volta, dovremo farlo. «Ci hanno appena dato il permesso di tornare nelle nostre case e adesso dobbiamo uscire per andare a rischiare la vita?» […]
La sporca guerra
E’ il capitano degli Alpini Colman che parla. Dal Cap. 18
“[…] «Orgoglio… È già la seconda volta che lo nominate. Non so che farmene, in trincea, dell’orgoglio. Parlate di ciò che non sapete, non conoscete le ragioni della guerra.»
«Ne ha?»
«Diverse, a dire il vero.»
«Un esempio?»
«Uno soltanto? Vi accontento. Ponete che una manciata di soldati diserti la propria compagnia e decida di unirsi al nemico. Penserete che il fango gettato sui compagni e sul proprio comandante sia solo figurato. Mi intendete?»
Annuisco.
«Ebbene no, Agata. Quel fango è vero, talmente vero da sporcare chi invece è restato fedelmente al proprio posto. Macchia di dubbio, e il dubbio è pericoloso. In guerra ci si deve fidare dei propri uomini e dei propri compagni come se fossero padri e fratelli. È una catena di sopravvivenza. Rispetto, fiducia, valore: non sono parole.» Fa un gesto vago con la mano, come a rimettere in moto la storia che ha iniziato a raccontare. «Se il Comando Supremo ha iniziato a dubitare della fedeltà dei soldati rimasti, il comandante sa quali potrebbero essere le conseguenze: lo scioglimento della compagnia per disonore, l’invio dei suoi uomini su altri fronti, separati, marchiati di un’onta incancellabile che li isolerà e li esporrà ai rischi più gravi. Nessuno guarderà loro le spalle.»
Qualche frammento: fra prosa e poesia
Dal Cap. 29 – “«Penso spesso a quella ragazza e benedico il suo dono. Di mia madre mi sono rimasti solo ricordi, ma il tempo si porterà via i dettagli. Mi rincuora sapere che forse un giorno potrò rivedere com’era fatto il suo viso. La fotografia, in fondo, è un atto d’amore, non credi? Serve a tenere accanto chi amiamo.»
Alcuni capitoli prima
Le portatrici, di fronte ad un’offensiva nemica molto pericolosa, hanno deciso di armarsi e dare man forte agli alpini in trincea. Il Capitano Colman è molto perplesso. Siamo al cap. 21
“«Le donne non hanno mai fatto parte di eserciti, perché gli uomini non sono pronti a vederle morire.»
«Vi sbagliate. Gli uomini sono pronti a ucciderle, le donne. Non tutti i soldati sono mossi da spirito cavalleresco. Sapete benissimo come finiscono le invasioni…»
Un muscolo gli guizza in volto per la forza con cui serra la mascella.
Decisione difficile
«Siete capace di sparare?» chiede.
«La gran parte di noi» assicura Viola. «Siamo figlie e mogli di cacciatori, da generazioni. Abbiamo pulito e rimontato fucili fin da bambine. Le altre possono imparare in fretta.»
«Sparare non significa colpire.»
«In questa nebbia nessuno può essere certo nemmeno di mirare a un bersaglio!» ribatto accorata. «Ma se ci uniamo a voi, il fronte di fuoco sarà unito e imponente. Cosa mai abbiamo fatto finora di tanto diverso dalle vostre imprese?»
Taccio, non era ciò che intendevo dire, ma è ciò che sento. Gli occhi del comandante scattano sul mio viso. Io non abbasso i miei.
«Capitano Colman, o dopo tutto questo ci ritenete degne di stare al vostro fianco, oppure…»
«Non ne ho mai fatto una questione di esserne degne o meno, Agata. Questo posto è vostro di diritto, lo sapete. Non sarò io a dirvi il contrario.»
«E allora fate ciò che va fatto.»
Mi chiedo se qualcuno di noi riesca ancora a respirare, tanta è la tensione. Il comandante allunga una mano e si fa consegnare un fucile. Lo posa tra le mie mani, ma non lo lascia andare.
«Il peso di questa guerra si sposta dalle vostre schiene alle braccia» dice. «Siete in grado di sopportarlo?» mi chiede. La domanda che ha celato è un’altra. Penso ai bambini spaventati che attendono il ritorno delle madri, a mio padre, agli altri infermi abbandonati, agli animali indifesi. Possiamo salvare tutto questo, possiamo anche uccidere, se necessario. «Sì, lo siamo» è la mia risposta.
Lui lascia la presa. «Donne al fronte» mormora. «E che sia, dunque. Come noi. Uguali a noi.»
Resto a fissarne il mantello, mentre consegna ai suoi uomini i nuovi ordini, ferma al sorriso che gli ho visto nascondere, alle ultime parole pronunciate, eco di una conversazione che abbiamo già avuto e che il capitano non ha dimenticato. […]”
Ilaria Tuti – l’autrice
Alcuni cenni biografici li potete trovare sulla recensione del precedente romanzo Ninfa dormiente, di cui inserisco qui il link.
Mi sembra inoltre importante farvela conoscere più da vicino attraverso il video che ho inserito alla fine di questo articolo.
E non posso evitare di esprimere il mio apprezzamento a questa donna friulana e alle donne friulane in generale: dalle portatrici carniche di un secolo fa fino a tante friulane contemporanee.
Chi le conosce talvolta non può evitare di amarle. Hanno qualcosa di particolare che non so spiegare.
E quindi comprate e leggete anche voi Fiore di roccia, a mio parere uno dei migliori romanzi italiani di questi ultimi tempi. Raccomandatissimo! Grazie e ciao!
Per chi desidera approfondire od acquistare
- Fiore di roccia – il libro di oggi
- Fiori sopra l’inferno – (2018) – il suo primo romanzo
- Ninfa dormiente – (2019) – un grande successo editoriale
- Video Youtube – Ilaria Tuti presenta “Fiore di roccia” il suo ultimo libro
- Video Youtube – Timau – Paluzza – Portatrici carniche 1915-1918 (RAI 3 2014)
E un libro molto emozionante, non si puo smettere di leggere.
Grazie Silvia per il tuo commento. Ottimo libro. Toccante ed autentico. Ilaria Tuti sta diventando, libro dopo libro, sempre più capace di coinvolgere e commuovere. Ma è la storia che ha voluto ricostruire che dà forza all’intero romanzo. Fra le tante recensioni, Fiore di roccia è uno del libri che mi ha dato di più. Sono felice che ti stia piacendo. Grazie ancora. Paolo Canuto.