Robert Dugoni ed il suo romanzo Il settimo canone sono l’oggetto della mia recensione di questa settimana.
Eccovi subito una breve sintesi del contenuto.
“Un adolescente che si prostituiva per le strade del Tenderloin, il quartiere malfamato di San Francisco, viene assassinato e trovato in un centro per giovani senza fissa dimora gestito da Padre Thomas Martin. Nonostante le accuse ricadano su di lui e le prove sembrino schiaccianti, il sacerdote si dichiara innocente. E l’avvocato Peter Donley è dalla sua parte.
Donley si è fatto le ossa nello studio di suo zio, Lou Giantelli, e ha un disperato bisogno di guardare in faccia il passato. Per questo accetta il caso, deciso ad andare fino in fondo.
Dall’altro lato, un procuratore distrettuale a caccia di titoli da prima pagina e uno spietato poliziotto sospeso dall’incarico in cerca di vendetta sono intenzionati a intorbidire l’indagine con tutte le loro forze. Eppure Donley è determinato a svelarne i segreti più osceni, anche a costo della vita.”
Edito in Italia da Amazon Crossing il romanzo di R. Dugoni è il mio terzo thriller di questo autore.
Nella versione cartacea pubblicata il 5 febbraio 2019 Il settimo canone (‘The 7th canon’ – 2016)) è un volume di 368 pagine che si avvale della traduzione di Roberta Marasco. Che ha curato anche le traduzioni degli altri romanzi di Dugoni che ho letto.
Robert Dugoni, l’autore
Robert Dugoni nasce nel 1961 negli Stati Uniti ed attualmente vive A Seattle, nello stato di Washington.
Dopo aver frequentato la scuola di Giurisprudenza della UCLA, il 58nne scrittore ha esercitato la professione di Procuratore legale a S. Francisco.
Con l’ambizione a lungo coltivata di dedicarsi alla scrittura, nel 1998 decide finalmente di realizzare romanzi. A questo scopo, nel suo quarto anniversario di matrimonio, a bordo di un caravan attraversa il confine fra gli stati dell’Oregon e di Washington stabilendo a Seattle. Darà così compimento al suo sogno di autore di thriller.
Per i successivi tre anni, ha lavorato in un ufficio di poco più di sei metri quadri senza finestre, per creare i suoi primi romanzi.
Ad integrazione della professione di scrittore si dedica ad insegnare l’arte dello scrivere in tutto il paese. Ad oggi ha pubblicato in lingua inglese ben 16 romanzi ed alcune storie brevi.
I suoi primi romanzi sono The Cynide Canary (2004) a cui seguono The Jury Master (2006) e Damage Control (2007) non tradotti in italiano. (Fonte Wikipedia)
Le traduzioni in italiano arrivano solo più tardi con la fortunata serie intitolata ‘Tracy Crosswhite novels’.
Il primo libro della serie di Tracy Crosswhite, Non ho paura del buio (My Sister’s Grave) (2014) , è stato in vetta alla classifica di Amazon e fra i bestseller del New York Times e del Wall Street Journal, ed è stato definito uno dei migliori thriller del 2014 dal Library Journal e da Suspense Magazine. Il tempo per uccidere (Her Final Breath) (2015) e Cosa nasconde la radura (In the Clearing) (2016) sono il secondo e il terzo episodio della fortunata serie. (Note in calce alla sinossi del romanzo).
Il mio incontro con R. Dugoni
Abbastanza casuale, come per tanti altri scrittori contemporanei. Ed anche piuttosto recente.
Acquisto infatti Non ho paura del buio nell’aprile 2018. Lo leggo in un fiato e pochi giorni dopo acquisto il secondo volume della serie Il tempo per uccidere. L’autore mi piace molto, ma passo ad altri scrittori e rimando la recensione di uno dei due romanzi a tempi successivi.
Poi, il mese scorso, il titolo del nuovo romanzo appena tradotto suscita la mia curiosità e ne inizio la lettura.
Fin dalle prime pagine mi rendo conto che questa volta il contenuto rientra, ancor meglio dei precedenti da me letti, nel genere ‘legal-thriller’ che hanno dato a Dugoni il massimo della fama. E che ha fatto scrivere del suo lavoro note come questa.
– “Robert Dugoni è stato paragonato a Scott Turow e Nelson DeMille e definito “il re indiscusso del legal thriller” e “l’erede al trono letterario di Grisham”. –
Ed eccovi un saggio di questo suo stile narrativo tratto dal libro di oggi.
Dal capitolo 1
“Il tempo a disposizione di Peter Donley era finito. Dallo scranno in fondo all’aula del tribunale, il giudice della Corte Superiore di San Francisco, Franklin Jefferson Barnes, lo scrutò da sopra gli occhiali da lettura. «Se i legali hanno concluso, io sono pronto a deliberare» disse Barnes, mentre sistemava la mole considerevole nascosta sotto la toga nera pieghettata.
Il legale della controparte, Rebecca Rattigan, balzò in piedi e le gambe della sedia stridettero contro le mattonelle consunte con un suono comunque meno irritante della sua voce. «Io ho concluso, Vostro Onore.» Certo. Il possesso è nove decimi della legge e dal momento che lo deteneva il suo cliente, Rebecca Rattigan immaginava che avrebbe vinto, e a ragione.
Il giudice Barnes spostò lo sguardo su Donley. «Signor Donley, il querelante è pronto?» L’avvocato abbassò gli occhi sull’anziano cliente. Settantotto anni, Victor Russo era accasciato di fianco a lui al banco degli avvocati, con l’aria disperata di chi ha appena perso il suo migliore amico. E in un certo senso era proprio così.
Dopo la morte della moglie, il signor Russo aveva condiviso l’appartamento sopra il suo ristorante Da Victor a North Beach con Albert, un pappagallo cenerino africano. Almeno fino a quando la signora delle pulizie non aveva aperto la gabbia di Albert senza aver prima chiuso la finestra.
Per due settimane, Russo aveva contattato tutti i rifugi e i negozi di animali possibili. In un negozio a Divisadero Street gli avevano detto di aver venduto un cenerino africano che corrispondeva alla descrizione, ma quando Russo aveva offerto al ventiquattrenne tatuato, batterista di una band punk rock, il doppio di quello che aveva pagato al negozio di animali, il ragazzo aveva rifiutato.
Donley
Russo a quel punto aveva chiamato Lou, lo zio di Donley, in cerca di aiuto. L’avvocato spinse piano la sedia all’indietro e si alzò lentamente, pronto a dire che aveva concluso, ma quando aprì la bocca per parlare, non ci riuscì. E gli venne in mente una delle frasi preferite di zio Lou. Si vive una volta sola, ragazzo. Tanto vale spassarsela.
Ventotto anni, uscito dalla facoltà di legge appena da tre, a Donley sembrava di aver già vissuto più di una volta sola. Guardò il suo cliente. Le lacrime che si erano accumulate negli occhi di Russo per tutto il pomeriggio cominciarono a scorrergli lungo le guance. «Signor Donley?» lo incalzò il giudice Barnes, ora con tono impaziente.
Al diavolo, pensò l’avvocato. Si raddrizzò e guardò Barnes. «Vostro Onore, il querelante desidera chiamare un ultimo testimone.» L’espressione compiaciuta di Rebecca Rattigan si fece esasperata. Per tutto il processo aveva fatto sfoggio della propria inesperienza, come una pessima attrice che recita sopra le righe. «Obiezione, Vostro Onore. Il signor Donley ha già chiamato tutti i testimoni presenti sulla lista.»
L’avvocato cercò di sembrare conciliante. «Mi scuso con la signora Rattigan e con la corte, ma sono venuto a conoscenza solo da poco della possibilità di questa testimonianza ed è attinente alla questione della proprietà.»
Rebecca Rattigan agitò la lista dei testimoni che Donley aveva presentato alla corte. «Se questo testimone a sorpresa non è sulla lista, allora non può testimoniare. Codice di procedura civile, sezione…»
Il giudice Barnes sollevò una mano grande come un guantone da baseball. «Signora Rattigan, lei pensi a fare le obiezioni che a deliberare al riguardo ci penso io» disse, e un accenno di cadenza della Louisiana si intrufolò nella sua voce da baritono. «Mi scusi» rispose Rattigan, «ma questo è gravemente pregiudiziale…» […]”
La vera sfida sta alle porte
L’avvocato Peter Doley è giovane, sta ancora imparando a destreggiarsi tra le insidie dei suoi avversari in tribunale, ma è un tipo tosto e che non si arrende tanto facilmente!
Sa che la lotta è dura, ma ciò che sta aspettandolo dietro l’angolo è enormemente più grande di ciò che era preparato ad affrontare. Eppure…
E arriviamo al capitolo 4.
“Lo trattarono come un oggetto da infilare in una busta per le prove, da chiudere ed etichettare.
Padre Martin era seduto su una sedia pieghevole, gli eventi che gli vorticavano attorno, il dolore e la nausea che facevano inclinare e roteare la stanza, e ogni cosa era nera o grigia.
Gli agenti in uniforme, i detective in borghese e i tecnici della Scientifica andavano e venivano, girando attorno ai foglietti adesivi gialli che indicavano le gocce di sangue sul pavimento. Scattavano fotografie, rilevavano impronte e abbozzavano disegni. Un dottore dell’ufficio del medico legale e i suoi assistenti si occupavano del cadavere di Andrew Bennet.
Le radio crepitavano e le finestre erano illuminate dai lampi rossi, bianchi e azzurri dei lampeggianti sulle auto di pattuglia posteggiate fuori. Padre Martin si sorreggeva il braccio, che adesso era immobilizzato da una stecca e una benda elastica, ma che continuava a fargli male.
Il polso si era gonfiato ed era grande come un limone, e gli girava talmente tanto la testa che gli sembrava di sollevarsi dalla sedia. Premette le suole dei sandali sul pavimento, nell’inutile tentativo di impedire alla stanza di vorticare. Il detective afro-americano che si era presentato come John Begley gli tese un pacchetto di sigarette, ma Padre Martin declinò l’offerta.
Begley rimise il pacchetto nella tasca della giacca e riattaccò con le domande. «Conosceva questo ragazzo?» «Non bene, no.»
«Non era mai venuto al centro prima?» «No. Era la prima volta.» Il cadavere di Andrew Bennet era ancora nella mangiatoia e c’era una pozza di sangue sotto la paglia. «E ha detto che se n’era andato?»
«Sì.»
«Ma non sa quando.»
«No.» Gli pulsava la testa.
«Di solito chiude il portone d’ingresso alle dieci, ma non stasera. Perché no?»
«Non ne ho avuto il tempo.»”
Appare il titolo
Siamo al capitolo 8.
“La segretaria infilò l’impermeabile e parlò mentre si sistemava la sciarpa intorno ai capelli e prendeva l’ombrello.
«Qualche anno fa, quando io erano ancora magra e Lou aveva più o meno la sua età, arrivò una chiamata dallo studio dell’avvocato d’ufficio per rappresentare un ventenne che aveva assassinato quattro persone, fra cui due ragazzi giovani. Era su tutti i giornali, proprio come adesso.
Il ragazzo era colpevole, ma Lou lottò comunque fino all’ultimo per salvargli al vita. Io non lo capivo. Lo trovavo qui alla scrivania, che lavorava fino a tardi ogni notte, preparando mozioni e controinterrogatori, qualunque cosa fosse necessaria.
Odiavo vederlo faticare tanto per una causa persa. “Perché si ammazza di lavoro per questo ragazzo?” gli chiesi una sera.»
«E lui che cosa rispose?» «Rispose: “È il mio lavoro, Ruth-Bell. Il mio lavoro è difendere il mio cliente meglio che posso, che sia colpevole o innocente. Se io non faccio il mio lavoro, allora il sistema non funzionerà e se il sistema non funziona, il prezzo lo pagheremo tutti quanti”.»
«Il settimo canone.»
«Prego?»
«Un avvocato deve assistere il proprio cliente in modo coscienzioso entro i limiti della legge» recitò Donley, ricordando meglio che poteva il codice dell’ordine degli avvocati.
«Qualcosa del genere» disse Ruth-Bell. «Qualche anno più tardi, esauriti tutti gli appelli, condannarono quell’uomo a morte. Non l’ho mai raccontato a nessuno, ma quel giorno piansi.
Non per lui. Per Lou. Sapevo quanto si era battuto per salvargli la vita.» Fece un cenno verso Donley.
«Voi due siete molto simili. Ma Lou ormai non può più farlo. Lo sappiamo entrambi. Adesso tocca a lei.»
«Lo so» rispose Peter.
«Lo so. Spero solo che fra due anni lei non pianga di nuovo perché hanno condannato Padre Thomas Martin a morte.»”
Concludendo
Dopo Presunto Innocente (1991) del grande Scott Turow non avevo più letto un legal-thriller così avvincente e ben costruito.
I due volumi della serie della detective Tracy Crosswhite sono ottimi romanzi ma Il settimo canone è decisamente di un livello superiore.
Un romanzo così azzeccato può richiedere una lunga gestazione ed un impegnativo lavoro di revisioni e di ritocchi.
Lo ammette lo stesso autore nei suoi ringraziamenti con queste semplici parole.
“Ho scritto la prima bozza di questo libro nel 1996.
Nel 2003, quando la mia agente ha fatto girare i primi tre romanzi, abbiamo ricevuto un’offerta di pubblicazione, ma abbiamo deciso di prendere una direzione diversa con i primi due romanzi di David Sloane.
Questo libro è finito nel proverbiale cassetto dello scrittore.
Più di un decennio dopo, e in seguito a diversi rimaneggiamenti (d’accordo, circa dieci riscritture) sono felice che venga pubblicato.”
Ed io sono felice di averlo potuto leggere.
Ecco perché lo raccomando anche a voi. Arrivederci!
Per chi desidera approfondire od acquistare
- Il settimo canone (il libro di oggi)
- Non ho paura del buio (il primo romanzo della serie Tracy Crosswhite)
- La ragazza in trappola (il quarto romanzo della serie Tracy Crosswhite) – l’ultimo tradotto in italiano.
- Da Youtube ‘Robert Dugoni – Bestselling Author’ (in inglese)
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