Attraverso la recensione de La lettera perduta di Jillian Cantor, vi propongo questa settimana la lettura di un interessante romanzo che mi ha veramente emozionato.
“Una misteriosa lettera d’amore sospesa tra passato e presente, verità e inganno. Un segreto di famiglia sepolto nei ricordi; una passione più forte della paura e dell’oblio.”
Queste poche righe di introduzione trovate nella presentazione del libro, mi hanno veramente incuriosito. Anche perché, come per molti lettori che scorrono le recensioni che pubblichiamo sul sito, le storie di vita vissuta sono alle fine quelle che sentiamo più vicine a noi stessi.
Il 72% dei clienti Amazon che hanno espresso il proprio giudizio ha assegnato la valutazione massima (5 stelle). E un altro 11%, di stelle ne ha attribuite 4 (molto buono).
Il parere dei lettori del volume in lingua inglese (246 recensioni) è ancora più positivo. Gli assegnano 5 stelle l’81% del campione e 4 stelle il 16%. Consenso pieno!
Eppure a darmi la spinta per l’acquisto e la conseguente sollecita lettura è stato il contenuto descritto nella sinossi che illustra le 277 pagine del romanzo.
La sinossi
“Austria, 1938. Kristoff, giovane orfano viennese, diventa apprendista presso Frederick Faber, mastro incisore specializzato nella realizzazione di francobolli. Quando il suo mentore, ebreo, scompare durante le devastazioni della terribile Notte dei Cristalli, Kristoff è costretto a mandare avanti la bottega al servizio dei nazisti.
Ma la figlia di Faber, Elena, scampata alla cattura e collaboratrice della Resistenza, lo convince a unirsi alla causa, falsificando documenti e inviando messaggi in codice. Per lei, di cui è perdutamente innamorato, Kristoff farebbe qualunque cosa, a costo della sua stessa vita.
Los Angeles, 1989. Da bambina, Katie amava accompagnare al mercato delle pulci suo padre, che era sempre alla ricerca di francobolli rari. Ora che l’Alzheimer gli sta togliendo passioni e ricordi, Katie spera di fargli un regalo gradito facendo stimare tutta la sua collezione.
L’esperto di filatelia cui si rivolge, Benjamin Grossman, vi scopre una lettera la cui affrancatura, risalente all’inizio del secolo, sembra nascondere un messaggio segreto.
Con l’aiuto di Benjamin, Katie decide di svelarne il mistero. Non sa ancora che la ricerca li condurrà a ritroso nel tempo, alla scoperta di una giovane coppia che si era giurata amore eterno, e poi nel presente esaltante di una Berlino che sta cambiando il mondo con la caduta del Muro.
Non sa ancora che spetterà a lei, ora, rendere giustizia a quell’amore e a quella promessa. Ispirato a testimonianze reali della Resistenza, un romanzo che scuote le coscienze. Una storia coinvolgente che celebra l’importanza della memoria e i tanti eroi senza nome che con coraggio hanno sfidato i portatori d’odio.”
Amazon, lo presenta così.
Molto intrigante, vero? A me è sembrato meritevole di lettura. L’ho acquistato ed adesso ne parliamo insieme.
Jillian Cantor
Trascrivo integralmente la sintesi biografica che l’autrice ha inserito nel proprio sito web “www.jilliancantor.com”
“Jillian Cantor ha conseguito una laurea in inglese presso la Penn State University e un master presso l’Università dell’Arizona. È l’autrice di successo secondo USA Today di dieci romanzi per adolescenti e adulti, tra cui The Hours Count, Margot, The Lost Letter e, più recentemente, In Another Time. I suoi romanzi sono stati segnalati da Library Reads, Indie Next e “Amazon Best of the Month” . Ad oggi sono stati tradotti in 13 lingue.
Il prossimo libro YA (Young Adult) di Jillian, The Code for Love and Heartbreak, uscirà il 6 ottobre 2020. Il suo prossimo romanzo storico per adulti, Half Life, uscirà nel marzo del 2021.
Nata e cresciuto in un sobborgo di Filadelfia, Cantor attualmente vive in Arizona con suo marito e due figli.”
La sua produzione letteraria è piuttosto recente. Nel 2009 pubblica The September Sisters, il suo primo romanzo. Seguono The Life of Glass (2010), The Transformation of Things (2010).
Nel 2013 il suo quarto romanzo Margot, ispirato ad Anna Franck si trasforma in un successo editoriale negli States. Simile risultato per il suo sesto titolo The Hours Count (2015).
Poco dopo The Lost Letter (La lettera perduta) (2017), viene dichiarato da Amazon USA il miglior libro del mese (giugno 2017) del genere Letteratura e Fiction. Diventa “USA today bestseller” nel febbraio 2019.
E finalmente, poche settimane prima (15 gennaio 2019) viene pubblicato anche nel nostro paese.
La lettera perduta – il romanzo
Tradotto dall’inglese da Federica e Stefania Merani, Sperling & Kupfer lo pubblica nella collana Pandora. Oltre alla versione e-book è disponibile una versione tradizionale con copertina rigida di 325 pagine.
Per ora La lettera perduta è il solo libro della Cantor disponibile in italiano.
La struttura del libro è di 42 capitoli che si sviluppa su due orizzonti temporali. Il primo -1938 e 1939 – si alterna fra Austria e Germania. Il secondo – 50 anni più tardi – dal 1989 fino al 1991. In questo caso i fatti si svolgono prevalentemente a Los Angeles, ma anche in Inghilterra.
L’alternanza temporale è costante creando la visione perfetta di due storie parallele (ieri e oggi).
Accingendomi alla lettura del romanzo mi soffermo su due punti. In copertina, una promessa: “Non ti dirò mai addio. Soltanto arrivederci a presto.”
All’interno un incipit particolare: “(L’edelweiss) è una pianta alpina… che si dice cresca al limitare della neve perenne, anzi sotto la neve… Solo i più arditi caprai e cacciatori delle Alpi si arrischiano a cogliere questa tenace pianticella dal suo suolo natio. Possederne un esemplare è prova di singolare audacia.
Berthold Auerbach, Edelweiss.”
Solo leggendo l’intero romanzo capiremo il senso di questa frase.
Iniziamo la lettura di La lettera Perduta
“Austria, 1939
Stringeva forte le lettere, attenta a non sciupare i francobolli. Incurante della nevicata e dei piedi intirizziti, fradici negli stivali dalle suole consumate, attraversava imperterrita il bosco diretta in città, con le buste all’asciutto sotto il cappotto. Ancora pochi passi, ripeteva tra sé e sé. E, pur consapevole che fosse una menzogna, continuava ad avanzare.
Ancora pochi passi. Pochissimi.
Doveva soltanto entrare in città e inviare le lettere dall’ufficio postale di Wien Allee. Soltanto spedire quelle lettere e non sarebbe successo niente.
Era anche questa una menzogna, certo. Eppure continuava ad avanzare nella neve.
Finalmente raggiunse la radura ai margini del bosco e lì, attraverso il turbinio dei fiocchi, nell’azzurro rosato dell’alba, scorse in lontananza i tetti rossi dei pochi edifici rimasti.
Ecco Wien Allee. Era quasi arrivata.
Il gelido calcio della pistola contro la tempia la colse talmente di sorpresa che non le sfuggì nemmeno un grido, prima che l’uomo la afferrasse per il braccio e le lettere le cadessero di mano, sulla neve immacolata.”
Un inizio che ha il sapore di un thriller. Ma il seguito, lo potremo trovare dopo altri capitoli e molte pagine più tardi.
Ma posso dichiarare che ne vale la pena. Solo allora saremo sufficienti immersi nella storia – o nelle due storie – da apprezzarne appieno il pathos che ci susciterà la rilettura di questi istanti.
Protagonisti: Kate
“Los Angeles, 1989
Quando mi presento per la prima volta dal collezionista di francobolli, sono tentata di non scendere nemmeno dall’auto. È una mattina insolitamente fredda per Los Angeles, non ho il maglione e sono quasi certa che qui perderò solo tempo.
Però ho il bagagliaio straripante di ciò che prima riempiva la stanza degli hobby di mio padre: pagine e pagine di album pieni di francobolli custoditi nella plastica, scatoloni zeppi di tesori scovati ai mercatini delle pulci, per lo più lettere ingiallite, mai inviate o ancora chiuse, ma tutte provviste di francobolli provenienti da un’altra epoca. Se non la scarico qui, questa roba, mi toccherà trovarle un posto in casa mia. E poi, nei confronti di mio padre, mi sento in obbligo di fare almeno qualcosa di buono con la sua collezione. Animata da questo pensiero, scendo dall’auto e apro il bagagliaio.
Da ragazzina, il fine settimana, lo accompagnavo ai mercatini e alle svendite di mobili e suppellettili usati e mi ritrovavo a setacciare il ciarpame altrui in cerca di una vecchia lettera, o a spulciare la raccolta di francobolli appartenuta a un collezionista appena deceduto e snobbata dagli eredi. In quelle occasioni, quando chiedevo a mio padre che cosa stesse cercando, lui si voltava a guardarmi e, sorridente, rispondeva: una gemma. I francobolli sono questo per lui, delle gemme. O almeno lo erano. Diamanti, rubini, smeraldi. Si sentiva un gioielliere capace di cogliere pregi e imperfezioni in ciò che tutti noi giudichiamo ordinario. Quando andammo in vacanza a Washington e vedemmo il diamante Hope allo Smithsonian, mi disse: «Ecco che cosa sto cercando, Kate». Ma io dubitavo che potesse trovarlo nei mercatini delle pulci della California del Sud.
Secondo mio padre, il diamante Hope dei francobolli è senz’altro un esemplare mal riuscito. […]
Benjamin
[…] Trovo il filatelico, Benjamin Grossman, seduto alla sua scrivania, invasa da un caos di scartoffie e con un piccolo televisore in bianco e nero in un angolo. Il signor Grossman sta guardando il notiziario delle dodici: parlano delle proteste di ieri a Berlino Est.
Appena entro, distoglie lo sguardo dallo schermo senza però spegnere la tivù. È più giovane di come me l’ero immaginato dopo avergli parlato al telefono. Convinta come sono da sempre che collezionare francobolli sia un passatempo da vecchi, mi aspettavo una persona anziana. Invece Benjamin deve avere all’incirca la mia età, sui trentacinque, quarant’anni. Porta gli occhiali con la montatura di metallo e ha un cespuglio di ricci castano chiaro. «Lei è la signora Nelson?» mi chiede.
Non ho ancora deciso che cosa fare del mio cognome da sposata. «Mi chiami pure Katie», rispondo. «Va bene, Katie», replica lui sovrappensiero. Non gliene importa proprio niente di come deve chiamarmi. Si alza e armeggia con l’antenna del televisore finché l’immagine non è di suo gradimento, tanto che ho quasi l’impressione di disturbare, di avere interrotto qualcosa presentandomi qui, anche se ho un appuntamento. […]”
Kristoff
“Austria, 1938
All’inizio Kristoff non capì quale potere si celasse nel bulino. Non sapeva che quel piccolo strumento da incisione dall’aspetto tanto semplice avrebbe potuto salvarli o farli ammazzare. In un primo tempo constatò soltanto l’impossibilità di utilizzarlo con precisione e il fatto di non essere portato per il metallo come lo era sempre stato per la tela.
Non gli piaceva nemmeno impugnarlo, pesante e difficile da maneggiare com’era. S’illudeva che incidesse il metallo con l’agilità di un pennello o di un carboncino, e invece la mano non faceva che bloccarsi e lui, incapace di ottenere linee e solchi perfetti come quelli del maestro, si sentiva ogni volta più frustrato. Temeva di essere licenziato e costretto a trovarsi non solo un altro impiego, ma anche una nuova sistemazione. Come apprendista di Frederick, riceveva dalla famiglia Faber vitto e alloggio nella loro splendida casa nei dintorni di Grotsburg, nonché cinque scellini alla settimana. Ma, soprattutto, aveva l’opportunità di imparare il mestiere per cui Frederick Faber era noto in tutta l’Austria: l’arte dell’incisione. La sua creazione più eccelsa era il francobollo postale più celebre di tutto il Paese – e il più artisticamente perfetto, a giudizio di Kristoff –, l’Edelweiss da dodici centesimi, magnifica riproduzione del puro e candido fiore che Frederick aveva progettato e inciso di persona nel 1932.
Kristoff ricordava di averlo usato per affrancare una lettera che aveva scritto una volta a sua madre senza mai spedirla. Non avrebbe certo potuto indirizzare una missiva a una persona che non esisteva o per lo meno di cui, malgrado tutti i suoi sforzi, non sarebbe mai riuscito a confermare né l’esistenza né il luogo di residenza. Già alla giovane età di tredici anni, però, aveva ammirato la maestria di quel francobollo, la curvatura perfetta dei petali.
Kristoff
aveva sempre desiderato guadagnarsi da vivere come artista. Così, quando l’autunno precedente, a Vienna, aveva sentito dire da un altro artista di strada che Frederick Faber, quel Frederick Faber, cercava un nuovo apprendista, aveva radunato gli attrezzi del mestiere e speso quasi tutti i suoi miseri risparmi per pagarsi il viaggio fino a Grotsburg, a duecento chilometri di distanza. E al suo arrivo aveva convinto Frederick a offrirgli quel lavoro dopo avergli mostrato alcuni dei suoi schizzi di Vienna realizzati a carboncino.
«Hai buon occhio», aveva commentato il maestro di fronte a quello che Kristoff giudicava il suo disegno più pregevole: la cattedrale di Santo Stefano, con le due ampie torrette anteriori finemente tratteggiate in ogni dettaglio. Frederick aveva inarcato un folto sopracciglio grigio. «Ma del metallo che ne sai, ragazzo mio?»
«Sono uno che impara in fretta», gli aveva assicurato Kristoff, e quelle parole erano bastate a convincere il maestro ad assumerlo. Tuttavia, fino a quel momento si erano rivelate false, almeno in merito all’arte dell’incisione.
Malgrado non fosse riuscito a padroneggiare il bulino all’istante, nelle prime settimane trascorse a lavorare per Frederick, Kristoff aveva comunque imparato due cose. Primo, che il signor Faber era più anziano di quanto l’avesse creduto inizialmente, tanto che a volte le mani prendevano a tremargli quando cercava di insegnargli come usare gli strumenti del mestiere. Frederick gli aveva detto che cercava un apprendista perché i francobolli che l’Austria gli commissionava garantivano lavoro a sufficienza per due mastri incisori, ma ormai Kristoff sospettava che la vera ragione fosse un’altra: il signor Faber dubitava di poter proseguire la propria attività ancora per molto. E non aveva figli maschi.
Era proprio questa la seconda cosa di cui Kristoff era venuto a conoscenza.
Elena
Frederick aveva due figlie: Elena, che aveva diciassette anni – uno meno di lui – e gli ricordava una stella alpina per il candore dell’incarnato, il castano dorato dei lunghi capelli ondulati e il verde acceso degli occhi. E Miriam, di tredici anni. Se Elena era un fiore, Miriam era l’ape ronzante che lo importunava. […]
Elena posò il cucchiaio e si alzò. Kristoff tentò una seconda volta di incrociare il suo sguardo, ma lei tenne gli occhi bassi. «Posso aiutarla io.» Kristoff si alzò prima che il coraggio gli venisse meno, ed Elena si voltò verso di lui. Almeno aveva attirato la sua attenzione.
Il bel viso della ragazza si accigliò di colpo. «Non è…» esordì.
La signora Faber la interruppe: «Grazie, Kristoff. Sono certa che a Elena farebbe piacere».
Lui le sorrise e seguì la ragazza. Senza dire una parola, i due attraversarono la cucina, uscirono dalla porta sul retro e si diressero verso la legnaia, posta al di là dell’ampio cortile che si apriva di fronte al laboratorio di Frederick. Il terreno era ghiacciato e scricchiolava al loro passaggio; l’aria notturna era pungente e nessuno dei due ragazzi si era infilato il cappotto. Elena tremava e, quando si chinò a raccogliere la legna, i capelli le finirono sugli occhi. Kristoff resistette all’impulso di scostarglieli, si chinò a sua volta e prese il ciocco di legna dalle mani della ragazza.
«Davvero», protestò lei seccata mentre tirava a sé il ceppo e lo stringeva al petto. «Me la cavo da sola. Lo faccio da molto prima che arrivassi tu. Non mi serve il tuo aiuto.»
«Ma io voglio aiutarti», replicò lui. «E non mi costa nulla.» Elena lo trafisse con lo sguardo, e di colpo Kristoff capì che la sua non era timidezza… ma semplice disprezzo. […]”
Le scelte dell’autrice
Caratteristica peculiare di Jillian Cantor, in questo come negli altri romanzi che hanno conquistato i lettori, è la capacità di creare intrecci molto efficaci tra elementi di storia moderna e fiction capaci di scuotere i sentimenti.
Nelle pagini finali de La lettera perduta troviamo alcune frasi che offrono elementi utili a comprendere i legami fra questi due elementi.
Il primo elemento storico: L’importanza delle lettere.
“Nel primo cassetto della scrivania conservo una lettera che ho scritto ai miei nonni quand’ero bambina. Sulla busta c’è un francobollo da venti centesimi raffigurante la bandiera americana, con timbro postale del 1983, e nella lettera, scritta a cinque anni con la mia grafia di allora, racconto ai nonni che ho tanta nostalgia di loro, da quando sono tornati a casa dopo la loro recente visita. Mia nonna deve averla conservata perché, venticinque anni più tardi, quando si è trasferita in un centro di assistenza per i disturbi della memoria (molto simile a quello in cui vive il padre di Katie), mia madre ha trovato la lettera in un cassetto di casa sua e me l’ha spedita. Da allora la conservo anch’io in un cassetto. E ogni volta che mi capita di vederla, ripenso al significato che le lettere avevano un tempo, e a quanto oggi, nell’era digitale, parte di questo significato sia andato perduto. […]”
Per quanto concerne il significato delle lettere all’interno della vita delle persone posso testimoniare che le giovani generazioni di oggi sono state private, di un grande valore sentimentale. Io appartengo ad una generazione che ha potuto apprezzarne tutti i pregi nel momento che vennero scritte e poi gustarle di nuovo decine di anni dopo. Nessuno degli ottimi strumenti di messaggistica odierna potrà mai sostituirle.
Le donne nella resistenza
“[…]Per creare il personaggio di Elena ho tratto ispirazione da donne reali che hanno rischiato la vita collaborando con la Resistenza, in particolare Sophie Scholl, che ho scoperto mentre visitavo la magnifica mostra sulla Resistenza allestita presso il Museo dell’Olocausto a Washington. Altrettanto vero è che i prigionieri dei campi di concentramento potessero inviare (e ricevere) messaggi attraverso biglietti postali prestampati, con regole e limitazioni precise; il che mi è apparso un fatto straordinario, malgrado abbia letto anche che la posta in entrata era censurata, e che spesso i francobolli venivano staccati per cercare eventuali messaggi nascosti.”
Il riferimento a Sophie Scholl è certamente molto utile per comprendere appieno anche questo aspetto della nostra storia recente. A questo proposito vi consiglio la visione del magnifico film tedesco del regista Marc Rothemund ‘La rosa bianca. Sophie Scholl‘. Orso d’oro al Festival del cinema di Berlino 2005 alla protagonista femminile Julia Jentsch.
L’Elena Faber de La lettera perduta avrebbe potuto avere questo volto, soprattutto rivela, attraverso il libro, un’identica forza d’animo.
Ma La lettera perduta di Jillian Cantor è molto di più di tutto questo.
Un libro bellissimo che mi ha commosso fino alle lacrime! Leggetelo!
Per chi desidera approfondire od acquistare
- La lettera perduta (The Lost Letter) – Il libro di oggi
- La rosa bianca. Sophie Scholl. – Una raccolta di documenti sul ruolo della donne nella Resistenza tedesca al nazismo
- Video Youtube – La presentazione de La lettera perduta
- Il DVD del film La rosa bianca. Sophie Scholl – Praticamente introvabile (almeno per ora)
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