La recensione che state per leggere è ancora quella di un bel romanzo, dal titolo L’amante di Calcutta della scrittrice statunitense Sujata Massey. Di origine britannica poi emigrata negli USA da piccola, con padre indiano e madre tedesca raccoglie in sé un mix di culture particolarmente ricco e poco frequente.
Ma dell’autrice riparleremo più avanti. Vorrei invece subito parlarvi del romanzo e delle sue particolarità.
E lo voglio fare con le parole di Laura Lippman, importante giallista statunitense di Baltimora, vincitrice di numerosi premi letterari. La sua recensione appare sulla copertina del volume e lo fa con poche incisive parole.
“Un romanzo che tiene col fiato sospeso e che parla d’amore e d’identità, con un linguaggio accattivante e sensuale.” Un buon viatico per la sua concittadina di poco più giovane con la quale condivide la passione per la buona scrittura.
Il contenuto
“La giovane protagonista di questo romanzo ha più di un nome. All’età di sette anni, prima che un monsone devastasse il Bengala meridionale separandola dalla sua famiglia, la madre e le gemelline la chiamavano Didi, ma per tutti, al villaggio, era soltanto Pom, «un colpo su un tamburo, la pioggia che batte su un tetto di lamiera».
Compiuti i dieci, dopo essere stata raccolta malconcia dal ciglio di una strada e rimessa in sesto dal dottor Andrews a forza di dal, riso e latte bollito, per entrare a servizio nella scuola inglese di Miss Jamison, Pom è costretta a cambiare il suo nome in uno «da donna», «uno tratto dal libro sacro dei cristiani», e diviene Sarah: la piccola orfana che serve il bed tea alle insegnanti ancora assonnate, passa lo straccio nella sala da pranzo, manovra i ventilatori nelle aule per tenere fresche le allieve.
Nell’istante, tuttavia, in cui sente leggere L’isola del tesoro, Il libro della giungla, e ancora Virginia Woolf e Steinbeck, Sarah scopre che cosa vuole fare da grande: lavorare con i libri. E, magari, diventare una brava insegnante. Spinta da una forza di volontà fuori dal comune, ogni notte, dopo il lavoro, studia l’Oxford English Dictionary cercando di apprendere il più possibile.
Quando, però, sembra aver fatto passi da gigante, nella scuola scoppia uno scandalo e la ragazza è costretta a fuggire a Kharagpur, una città insidiosa, violenta, in cui alle donne sole è permesso lavorare soltanto nei postriboli.
Dopo nuove fughe e imprevedibili rivelazioni, il caso la conduce a Calcutta dove incontra un affascinante funzionario del governo inglese che le offre di lavorare nella sua biblioteca.
Mi chiamo Kamala
«Mi chiamo Kamala» si presenta questa volta. Sarà capace di svolgere quel nuovo impiego? E quell’ennesimo nome riuscirà a portarle fortuna e a trasformarla in ciò che Didi, Pom e Sarah hanno sempre voluto essere: una donna istruita, libera e innamorata?”
Questa la avvince sinossi riportata da Amazon.
Ma incontriamo la protagonista nelle prime pagine del romanzo.
“Vuoi sapere come mi chiamo, il mio vero nome, e io non te lo posso dire.
Non è per mancanza di volontà. Sarebbe opportuno che chi narra una storia dicesse come si chiama. In effetti una delle prime frasi in inglese che ho imparato è stata: «Come ti chiami?»
Nel corso degli anni mi hanno chiamato in molti modi, non tutti ripetibili. Ma all’inizio mi chiamavano Didi o Pom, e il secondo è un soprannome che mi hanno dato in paese: non lo troverete scritto da nessuna parte. Per me Pom ha un suono duro: un colpo su un tamburo, la pioggia che batte su un tetto di lamiera. Entrambi, suoni che mi ricordano il paesino bengalese in cui sono nata: Johlpur, la Città d’Acqua.
Pom, Didi, Pom! A chiamarmi più spesso erano le mie sorelline, Rumi e Jhumi, gemelle uguali come due grani di riso. Eppure, com’erano diverse! Rumi era quella tranquilla, silenziosa e servizievole. Jhumi piangeva di più e voleva stare sempre in braccio, persino quando lei e Rumi erano robuste ragazzine di sei anni. Doppia disgrazia, così le chiamava nonna Thakurma. Ma quando era da solo con noi, mio padre, che noi chiamavamo Baba, diceva a volte che la nascita di una figlia allunga la vita del padre e che lui, con tre figlie robuste come noi, sarebbe arrivato a cent’anni.
Ve lo racconto solo perché possiate capire quant’ero ricca allora.”
Il Monsone
“[…] Stava arrivando un’onda enorme: un’onda così alta e larga che sembrava una muraglia. Le mura più alte che conoscevo erano quelle intonacate che circondavano la proprietà del Jamidar; ma questa muraglia d’acqua era molto più alta, e si precipitava verso la riva a una velocità mai vista.
Sulla spiaggia tutti si erano messi a correre, ma l’onda era più rapida. Poi li sommerse, mangiandosi la spiaggia che c’era sotto. Dov’era finita la riva? Aguzzai gli occhi, ma non riuscii a vedere altro che una distesa infinita d’acqua, con delle macchioline nere che ci galleggiavano sopra.
La pioggia continuava a cadere in enormi scrosci gelidi che facevano male. Senza aver visto riapparire la gente, voltai le spalle a quello strano spettacolo e proseguii nella giungla. Nella sera sempre più scura mi sembrava tutto estraneo. Le pietre del terreno e le erbacce erano coperte da uno strato d’acqua che mi arrivava alle caviglie, e tra gli alberi non riuscivo neppure a vedere dove andavo.
Non mi concessi di preoccuparmi, tanto la strada da fare era poca. A casa sarebbero stati tutti ad aspettarmi. Avrei raccontato loro di quello strano spettacolo alla spiaggia mentre Ma mi curava i tagli con l’olio di senape. Ma quando scesi verso il margine della giungla, tutto sembrò dissolversi in una gigantesca pozza d’acqua. Dovetti rallentare il passo, e l’acqua mi salì alle ginocchia. Tutti gli anni c’erano inondazioni a Johlpur, almeno per una parte della stagione delle piogge, ma solo nelle parti più basse del paese e sulla strada. Non ricordavo di aver mai sentito parlare di inondazioni arrivate fino alla giungla.
Poco più avanti c’era una palma da datteri alta e robusta, abbastanza frondosa da offrire diversi appigli. Mi feci strada nell’acqua che ormai mi arrivava alla vita e mi arrampicai sulla palma. […]”
All’interno del romanzo
L’autrice introduce il lettore attraverso numerosi elementi che faciliteranno poi la comprensione del particolare mondo indù all’interno del quale la protagonista ci racconta la sua storia.
La narrazione in prima persona risulta fondamentale per comprendere anche i molti aspetti psicologici che di volta in volta inducono la bimba a scelte che risulteranno spesso controverse.
Partendo dal 1930 la piccola Pom riferisce con parole spesso crude e toccanti l’odissea che attraverso gran parte del paese la condurrà, ormai diventata donna, al 1947.
Fra gli elementi ai quali facevo cenno, il romanzo L’amante di Calcutta, dedica un paio di pagine ad un utile ‘Elenco dei personaggi (in ordine di apparizione)’.
E subito dopo ci mostra il clima sociale dell’India di quegli anni attraverso questo insolito incipit.
“Frammento di una lettera rinvenuta nel 1947 dall’impresa di pulizie Arjun al 22 di Middleton Street: Middleton Street, Calcutta.”
” … in merito alle voci che circolano da tempo e che so per certo essere vere: l’assunzione da parte sua di un’indigena in qualità di assistente personale. Diversi colleghi hanno già sollevato interrogativi sul suo passato. La ragazza potrà anche parlare quattro lingue; non è insolito, in questa terra di poliglotti. Come già sottolineato da Mr Pal, è altamente improbabile che un indiano di casta superiore permetta alla propria figlia di lavorare. Un altro collega ha accertato che presso la scuola in cui la sua assistente asserisce di essersi diplomata non si trova traccia di una passata iscrizione.
Le donne di Calcutta sono affascinanti. È facile per un uomo perdere la testa. Le raccomando di licenziare questa dipendente sempre che, in effetti, sia stata assunta come salariata…”
L’aiuto di Sujata Massey comprende tre ricette intitolate ‘Sapori della vecchia Calcutta’, un elenco di ‘Personaggi storici’, un’ampia bibliografia ed un ‘Glossario’ dei termini indù”.
L’amante di Calcutta
Pubblicato negli USA nel 2013 col titolo ‘The Sleeping Dictionary’ viene diffuso nel nostro paese nel 2014 a cura di Neri Pozza Editore – Vicenza. In formato ebook e cartaceo (Collana Beat).
Nella traduzione di Laura Prandino ‘The Sleeping Dictionary’ diventa L’amante di Calcutta. Suddiviso in quattro libri, con un totale di 50 capitoli e 557 pagine, il romanzo oltre che la storia de una ragazzina che si trasforma in donna è anche altro.
Definirlo un romanzo storico è sicuramente appropriato. I fermenti sociali che porteranno all’indipendenza dell’India sono molto ben rappresentati.
Ma nella scrittura di Sujata Massey abbondano frammenti di poesie di Tagore, glossari linguistici di origine diverse, ed altri brani da giornali locali che, come incipit di molti capitoli, ne introducono efficacemente i contenuti.
E fanno meglio comprendere le particolari sensibilità di un mondo tanto diverso da quello occidentale.
Chi è Sujata Massey
Al termine degli studi universitari (John Hopkins University 1986) lavora come giornalista per il quotidiano ‘The Baltimore Sun’.
Esordisce nella narrativa poliziesca durante la sua permanenza in Giappone (1997) e pubblica il primo titolo della sua serie di romanzi ‘Rei Shimura’. Con questo primo libro dal titolo ‘The Salaryman’s Wife’, vince il Premio Agatha (statunitense) per il miglior romanzo d’esordio nel 1998.
La serie ha raggiunto nel 2014 l’undicesimo titolo. Di questa serie ad oggi sono stati tradotti in italiano solamente il secondo ed il terzo volume.
Entrambi pubblicati nel nostro paese da ‘Il Giallo Mondadori’ e tradotti da Diana Fonticoli.
I titoli: Lo zen e l’arte dell’omicidio (Zen Attitude, 1998) e Fiori neri (The Flower Master, 1999). Le pubblicazioni italiane sono rispettivamente del 2005 e del 2006.
Successivamente la Massey esordisce con una nuova serie, denominata ‘Serie Perveen Mistry’.
Ad oggi due titoli. Le vedove di Malabar Hill , 2018 (The Widows of Malabar Hill) e La pietra lunare di Satapur, 2019 (The Satapur Moonstone). Entrambi pubblicati da Neri Pozza Editore.
Il nostro libro L’amante di Calcutta è invece un romanzo completamente a parte.
Premi negli USA per I fiori neri e Le vedove di Malabar Hill.
L’incontro… e Pom diventa Kamala
Dopo molte peripezie e sofferenze. appare qualcosa che sembra una luce in fondo al tunnel. Siamo al capitolo 19 de L’amante di Calcutta.
“«Non è lei che era venuta la settimana scorsa al Writers’ Building?»
Sul marciapiede appena fuori dalla libreria mi voltai, stupita. Il cliente del negozio era l’uomo che accompagnava Mr White; non l’avevo riconosciuto, vestito com’era in maniera più sportiva, con una camicia bianca con il colletto aperto e un paio di calzoni di cotone leggero.
A bassa voce, aggiunse: «Non potrei mai rinunciare ai miei libri. In effetti, sto cercando qualcuno che possa darmi una mano».
Ecco quali sono i problemi dei ricchi! Non mi interessava perdermi in ciance con lui, così tirai la valigia per mostrargli che dovevo andare.
L’uomo continuò. «Mi sono trasferito qui due anni fa con un carico di libri accumulati in un decennio, che sono ancora nelle loro casse. Avrei bisogno di tirare fuori i volumi della mia collezione, arieggiarli, spolverarli e pulirli, e sistemarli nella biblioteca dandogli un minimo di ordine. È difficile trovare qualcuno che sia in grado di farlo».
«E perché lo sta raccontando a me?» La domanda mi uscì brusca, perché ero stufa dei lavori interessanti riservati ai soli bianchi.
Un sorriso nervoso apparve sui lineamenti spigolosi di quell’uomo. «L’altra settimana mi sembrava che fosse alla ricerca di un lavoro. A meno che non abbia altri impegni, potrebbe essere un incarico adatto a lei».
«Ma le donne indiane non possono lavorare nel Writers’ Building, questo me l’hanno chiarito anche troppo bene». Ricordando com’ero stata liquidata, le parole mi uscirono dure e nette come ghiaia.
«La mia biblioteca non è lì. Si trova nella mia residenza personale…»
«Buona giornata, signore». Diedi uno strattone alla valigia e mi avviai, furibonda che potesse credermi così facile da attirare in casa sua.
E adesso?
Avevo cambiato il mio modo di vestire, eliminato il trucco, acconciato i capelli in una treccia decorosa. Come aveva capito chi ero stata? […]
Nel Writers’ Building Mr White e Ranjit avevano visto la mia falsa lettera di referenze con il nome angloindiano inventato. Ma avevo la sensazione che a Mr Lewes non importasse se ero indiana o angloindiana o cinese, purché sapessi battere a macchina.
Risposi in fretta. «Mi chiamo Kamala. Kamala Mukherjee». Il cognome era quello della ragazza che un tempo avrei voluto diventare, e Kamala era un decoroso nome hindu che suonava abbastanza simile a Camilla, il nome che lui aveva già sentito. Anche il suo significato era propizio, voleva dire loto, e mi ricordava quello che diceva sempre Ma a proposito dei miei occhi.
«Miss Kamala Mukherjee, sono molto lieto di conoscerla». Mi porse la mano, e io gliela strinsi con circospezione. «Ho la mia Buick parcheggiata poco più avanti. Vorrebbe venire almeno a dare un’occhiata alla biblioteca?»
Cercando di comportarmi come se non facessi altro che viaggiare su vetture private, annuii.”
L’autrice dichiara
Dal sito ‘The Internet Writing Journal’ prendo da un’intervista dedicata alla Massey e firmata Claire E. Withe. Per chi volesse leggerla interamente inserisco qui il relativo link.
Riporto unicamente un paio di risposte che possono interessare gli aspiranti scrittori.
“D: In quale modo la tua esperienza di giornalista ha influenzato il tuo stile di scrittura?
R: Quando ho cominciato a scrivere romanzi dal punto di vista del narratore, avevo timore di inserire un’opinione perché, in quanto giornalista, ero stata addestrata a tenere le opinioni lontane dalla cronaca. Quello era un chiaro problema. D’altra parte avevo il vantaggio di essere abituata all’editing di ciò che scrivevo. E quindi ascolto tranquillamente le persone che sono critiche nei confronti del mio lavoro ed utilizzo i loro commenti per migliorarlo.
D: Come ti avvicini alla trama? Definisci i contorni?
R: Preparo innanzitutto uno schema molto breve per proporre il nuovo libro all’editore. E poi mi dedico a scriverlo dall’inizio alla fine. Quando ho delle idee le inserisco in un file sul computer, una specie di diario del romanzo. E’ un modo che ho imparato dalla giallista scomparsa Sue Grafton.”
In sintesi ecco la regola aurea dell’autrice di L’amante di Calcutta:
“Non preoccuparti della pubblicazione fino a quando non avrai completamente scritto e rivisto il tuo libro. Mostrato a cinque amici di cui ti fidi e preso in considerazione i loro commenti per la tua stesura finale.”
Da leggere?
Assolutamente sì!
Per chi desidera approfondire od acquistare
- L’amante di Calcutta (2014) – Il libro di oggi
- Le vedove di Malabar Hill (2018) – Premiato negli USA, la prima inchiesta di Parveen Mistry, avvocato e formidabile investigatrice.
- La pietra lunare di Satapur (2019) – Chi c’è realmente dietro la misteriosa maledizione che grava sul palazzo di Satapur?
- Video presentazione di Le vedove di Malabar Hill e conosciamo l’autrice de L’amante di Calcutta
Kanti dice
Il titolo originale aveva un significato preciso per questo bellissimo romanzo. Ma “L’amante di Calcutta “mi sembra che ne disgorga completamente il senso
Paolo Canuto dice
Il tuo commento mi ha decisamente sorpreso. Entrambi concordiamo sulla bellezza indiscutibile del romanzo. Ma devo ammettere che hai ragione nel sottolineare che il titolo italiano può risultare meno appropriato del titolo originale inglese. “The sleeping Dictionary” esprime infatti il filo conduttore della vita della protagonista. “L’amante di Calcutta” molto meno, anche se può risultare più attrattivo per una parte dei potenziali lettori. Succede spesso coi titoli italiani di opere scritte in origine in altre lingue. Ma la storia scritta dall’autrice è veramente bellissima e questa è la cosa che mi è piaciuta di più. Grazie comunque per il tuo commento. Paolo Canuto