Dopo tanti romanzi recentissimi ho pensato che forse molti avrebbero gradito la recensione di un romanzo un po’ datato ma bellissimo, e cioè L’azteco di Gary Jennings.
Di questo affascinante racconto storico ho già avuto modo di darvi qualche cenno due anni fa quando, era il maggio del 2019, mi sono dedicato alla recensione di Nomadi, il terzo poderoso romanzo dell’autore statunitense.
Avvicinarsi alla scrittura di Jennings non è sempre facile, soprattutto perché molti lettori possono essere intimoriti dall’insolita quantità di pagine di ogni suo lavoro letterario.
Ricordo ancora oggi quando, era il 1984/85, anch’io fui molto perplesso nell’avvicinarmi al possibile acquisto de L’azteco. Ma bastarono alcune rapide letture all’interno delle oltre 1000 pagine per farmi superare ogni riserva.
L’edizione cartacea di allora è stata sostituita oggi dall’edizione digitale contenuta nel mio inseparabile Kindle. Ma vi confesso che rileggerlo in questi ultimi giorni, mi ha fatto ritrovare il piacere della scoperta nel quale mi sono immerso oltre 35 anni fa.
Poiché, effettivamente, come dice la proposta editoriale “…questo libro contiene dieci, cento, mille romanzi”.
L’opera letteraria di Jennings
Le prime opere risalgono (fonte Wikipedia in inglese) al 1975, ma la fama di grande scrittore storico americano, ha il suo debutto nel 1980 attraverso L’Azteco, il primo dei grandi titoli che hanno appassionato i lettori di tutto il mondo.
Pubblicati con cadenza abbastanza regolare seguono nel 1984 Il Viaggiatore (The Journeyer) oltre 1100 pagine, nel 1987 Nomadi (Spangle) oltre 1200 pagine. Poi nel 1992 Predatore (Raptor) circa 800 pagine ed infine nel 1997 L’autunno dell’azteco (Autumn Aztec) ancora circa 800 pagine.
Confesso di averli letti tutti. Ma solo i primi tre possono a buon diritto essere definiti dei romanzi straordinari. Frutto di grande fantasia narrativa ma anche di un’intensa ed accurata ricerca storica che accompagna gran parte delle vicende narrate.
Sappiamo che prima della stesura de L’azteco lo scrittore visse per lungo tempo in Messico dedicandosi alle ricerche sulle civiltà azteca e quelle precolombiane in generale.
Il grande successo ottenuto dai suoi due romanzi su questo tema, stimolò la successiva produzione di altri romanzi raccontati da Robert Gleason e Junius Podrug. Romanzi che furono la risposta ai desideri di un grande numero di lettori, ma che non raggiunsero il fascino e la qualità delle opere originali di Jennings.
I loro titoli sono Il sangue dell’azteco (Aztec Blood – 2001), La furia dell’azteco (Aztec Rage – 2006), Fuoco azteco (Aztec Fire – 2008) e Aztec Revenge – 2012.
Jennings scrisse poi altri titoli minori ma sono i monumentali romanzi della sua produzione di quel fecondo periodo che lo portarono al grande successo.
Va infine ricordato che L’azteco fruttò all’autore il Premio Bancarella 1982, dandogli grande notorietà presso i lettori del nostro paese.
L’azteco – la sinossi
Consapevole della spettacolare complessità del romanzo, ho rinunciato alla sintetica sinossi di Amazon per la più ampia descrizione che ne dà la pagina di Wikipedia. Ecco cosa dice.
“Il libro inizia con una lettera del Re di Spagna indirizzata al Vescovo del Messico, Juan de Zumàrraga, in quanto desidera conoscere di più delle terre della nuova colonia.
Viene così reclutato un anziano “indio” che per la sua conoscenza delle lingue, tra cui lo spagnolo, viene considerato idoneo allo scopo. Egli inizia così il racconto della sua vita e, parallelamente, di quella del popolo “Mexìca” dominante a quei tempi ed in quelle regioni per molti anni a venire fino alla conquista spagnola. Così Tlilèctic-Mixtli (Nuvola Scura) inizia, alla presenza di quattro frati scrivani ed un interprete, la descrizione della vita come si svolgeva prima delle conquiste con usanze e costumi, battaglie e sacrifici umani nonché del romanzo che è la sua stessa vita costellata di eccezionali fortune e di altrettanto tremendi lutti.
Egli infatti, nato figlio di un cavatore di arenaria nella nativa isola di Xaltòcan, si affranca dalle sue umili origini, grazie anche all’interessamento dello Uey-Tlatoàni (re) di Texcòco Nezahualpìli, che aveva lungimirantemente riconosciuto le sue doti, per divenire prima scrivano, poi soldato, commerciante girovago, e infine Cavaliere dell’Aquila (elevatissimo grado cui non si accedeva se non dopo una lunga e gloriosa carriera militare), e in ultimo alla posizione di nobile della nazione Mexìca, la quale, però, entro pochissimi anni, assieme agli altri territori confinanti che nel loro complesso venivano denominati “Cem-Anàhuac” (L’Unico Mondo), sarebbe stata assoggettata dai Conquistadores spagnoli.
All’arrivo di Hernán Cortés,
quando l’impero Azteco è al culmine della propria gloria, ne osserva il declino, sopravvive alla furia degli spagnoli e diventa l’ultimo testimone della gloria e della potenza del popolo Azteco.
Al termine della sua “cronaca”, il Vescovo del Messico che lo aveva convocato, irritato dalle ironiche considerazioni di Mixtli riguardo al Cristianesimo imposto con i roghi e le forche, decide appunto di farlo ardere sul rogo come eretico. Poco dopo arriva dalla Spagna l’ordine di Re Carlos di gratificarlo con una residenza ed una pensione adeguata in cambio dei servigi resi, amaro epilogo di un racconto e di un’esistenza spettacolari.”
Il volume L’azteco, traduzione di Bruno Oddera, collana La Scala, Rizzoli, 1981 (successive ristampe nella collana “SuperBur”, pp. 1005)
L’edizione digitale del 2012 è stata preceduta da ben trentaquattro edizioni cartacee della BUR Narrativa.
Ed è accompagnata da cartine che permettono di seguire i viaggi dei protagonisti nella regione messicana del periodo narrato dal libro.
Originale la struttura del romanzo, poco conosciuti molti degli avvenimenti storici, bellissime le descrizioni di tradizioni e luoghi, appassionante il personaggio e la sua vicenda umana. Ma soprattutto particolarmente fervida l’immaginazione che Gary Jennings ha profuso all’interno di questo migliaio di pagine per rendere veramente incantevole e intrigante questo singolare romanzo.
In ogni caso nessuna parola di elogio vale come la diretta esperienza di lettura del racconto che Jennings ha messo in bocca a Mixtli, l’Azteco ed ai suoi ricordi.
Ma cominciamo dal singolare inizio.
Le prime righe de L’azteco
Il romanzo si apre con la lettera di incarico che il re di Spagna fa pervenire al vescovo del Nuovo mondo.
“CORTE DI CASTIGLIA VALLADOLID
Al Legato e Cappellano di Sua Maestà, Don Fray Juan de Zumárraga, di recente nominato Vescovo della Sede del Messico, nella Nuova Spagna, un incarico:
Affinché meglio possiamo conoscere la nostra colonia della Nuova Spagna, le sue singolarità, le ricchezze sue, le genti che la popolano, e le credenze e i riti e le cerimonie da esse ivi celebrate, desideriamo essere informati di tutto ciò che gli Indios caratterizzò nel corso della loro esistenza in quel paese prima che giungessero le nostre forze di liberazione, ambasciatori, evangelizzatori e colonizzatori.
Ordiniamo, per conseguenza, che voi vi informiate presso gli anziani Indios (avendo prima fatto pronunciare ad essi il giuramento onde garantirne la veridicità) per quanto concerne la storia del loro paese, dei loro governi, delle tradizioni, delle costumanze, eccetera. In aggiunta alle notizie che vi procurerete da testimoni, ordinerete che consegnati vi siano tutti gli scritti, le tavolette o gli altri documenti di quei tempi trascorsi che confermare possano quanto verrà detto, e ordinerete ai vostri frati missionari di ricercare e richiedere i detti documenti tra gli Indios.
Trattandosi di questione importantissima e necessarissima affinché un peso venga tolto dalla coscienza di Sua Maestà, vi ordiniamo di provvedere allo svolgimento della predetta ricerca con tutta la prontezza, accuratezza e diligenza possibili, e di redigere con gran copia di particolari il vostro resoconto.
(ecce signum) CAROLUS I
Rex et Imperator
Hispaniae Carolus Primus
Sacri Romani Imperi Carolus Quintus”
La risposta del vescovo
A questo imperioso invito il vescovo risponde rassicurando il re che tutto verrà puntualmente eseguito, senza però nascondere le proprie perplessità, vista la scarsa stima che gli spagnoli nutrono nei confronti degli indigeni.
Scrive infatti, fra l’altro, il vescovo:
“[…] Inculcare questi insegnamenti, Sire, si è dimostrato lungi dall’essere facile e rapido.
Esiste fra i nostri compatrioti spagnoli, qui, un detto da lungo tempo preesistente all’arrivo nostro: ‘Gli Indios non possono udire se non attraverso le natiche.’
Ma noi ci sforziamo di tener presente che questi miserabili e spiritualmente impoveriti Indios o Aztechi, – come quasi tutti gli spagnoli si riferiscono, ormai, a tale loro particolare tribù o nazione in questi luoghi – sono inferiori a tutto il rimanente genere umano, ragion per cui, nella pochezza loro, meritano la tolleranza indulgenza nostra. […]
Zotici e tangheri tutti.
Cionondimeno riusciti siamo a stanare un unico anziano Indio (dell’età di circa sessantatre anni) in grado di fornirci il resoconto desiderato.
Questo Mexìcatl – egli rifiuta sia l’appellativo di Azteco, sia quello di Indio – possiede un alto grado di intelligenza (per la sua razza), sa esprimersi con chiarezza, ha quell’istruzione precedentemente consentita in questi luoghi, ed è stato, ai tempi suoi, scrivano di quella che passa per scrittura tra queste genti.
Nel corso dell’esistenza sua egli ha avuto numerose occupazioni oltre quella di scrivano: è stato guerriero, cortigiano, mercante girovago, persino una sorta di emissario degli ultimi governanti di questi luoghi presso i primi liberatori castigliani qui giunti… […]”
E così, fortemente desiderata dal sovrano spagnolo ed eseguita con scarso entusiasmo dal vescovo, la testimonianza del protagonista di questo romanzo si snoda nei giorni e nei mesi fino a riempire le mille pagine de L’azteco.
Leggendo fra le pagine del racconto
Penso che sia impossibile farvi conoscere a fondo la scrittura di Gary Jennings, attraverso un romanzo così ampio e complesso.
Mi limiterò quindi ad offrirvi qualche spunto con pochi brani scelti a caso. E’ L’Azteco che parla.
“Mio signore
Perdonami, mio signore, se non conosco i titoli ufficiali e onorifici che ti spettano, ma confido di non correre il rischio che tu, mio signore, ti ritenga offeso. Sei un uomo, e non un solo uomo tra tutti gli uomini ch’io ho conosciuto nel corso della mia vita si è mai risentito sentendosi dare del signore. Dunque, mio signore…
O forse eccellenza?
Ayyo, è un titolo anche più illustre… quello che noi di queste terre chiameremo un ahuaquàhuitl, un albero dalla grande ombra. Eccellenza ti chiamerò, pertanto. Tanto più mi colpisce il fatto che un personaggio di così eminente eccellenza abbia voluto convocare uno come me per dire parole alla presenza di Tua Eccellenza.
Ah, no, Eccellenza, non protestare se sembro adulare Tua Eccellenza… È risaputo ovunque nella città, e questi tuoi servitori, qui, mi hanno chiaramente spiegato, quale uomo augusto tu sia, Eccellenza, mentre io non sono altro che un logoro straccio, uno sfilacciato relitto di quello che ero un tempo. Tu, Eccellenza, sei vestito e agghindato e sicuro di te come si conviene alla tua vistosa supremazia, mentre io sono soltanto io.
Ma Tua Eccellenza desidera ascoltare che cosa io ero. Anche questo mi è stato spiegato. Tua Eccellenza desidera sapere che cosa il mio popolo, questa terra, le nostre esistenze erano negli anni trascorsi, nei covoni degli anni prima che piacesse al re di Tua Eccellenza e ai suoi portatori di croce, e portatori di balestre, di liberarci dalla schiavitù della barbarie.
È esatto, questo?
Allora Tua Eccellenza non mi chiede una facile cosa. Come posso, in questa piccola stanza, con il mio piccolo intelletto, con il poco tempo che gli dei, che il Signore Iddio può avermi assegnato per giungere al termine del mio cammino e dei miei giorni, come posso evocare la vastità di quello che era il nostro mondo, la varietà delle sue genti, gli eventi dei covoni su covoni di anni?
Pensati, immaginati, raffigurati, Eccellenza, come quell’albero dalla grande ombra. Vedine mentalmente l’immensità, i rami possenti e gli uccelli tra essi, il fogliame lussureggiante, la luce del sole sulle foglie, la freschezza che l’albero getta su una casa, una famiglia, la ragazza e il ragazzo che erano mia sorella e me stesso. Potrebbe, Tua Eccellenza, comprimere quell’albero dalla grande ombra nella ghianda minuscola che il padre di Tua Eccellenza ficcò un tempo tra le gambe di tua madre?
Yya ayya, ti sono dispiaciuto e ho sgomentato gli scrivani. Perdonami, Eccellenza. Avrei dovuto supporre che le copule in privato degli uomini bianchi con le loro donne bianche devono essere diverse — svolgersi con maggiore delicatezza — di quelle che li ho veduti imporre alle nostre donne in pubblico, con la forza. E, senza dubbio, la copula cristiana che generò Tua Eccellenza dovette esserlo anche di più.”
Bambola di Giada
Il racconto dell’anziano azteco prende corpo. Arriviamo al punto in cui, poco più che un ragazzo, è al servizio del sovrano (Riverito Oratore) del suo popolo e riceve un inatteso quanto impegnativo incarico.
“«[…] Durante la tua recente assenza ho preso un’altra moglie. Si chiama Chàlchiunènetl, Bambola di Giada. »
Non dissi nulla e mi domandai confusamente se avesse cambiato discorso per qualche motivo. Ma egli continuò:
« È la figlia maggiore di Ahuìtzotl. Un dono che egli mi ha fatto per celebrare la sua ascesa al trono come nuovo Uey-Tlatoàni di Tenochtìtlan. La fanciulla è una Mexìcatl come te. Ha quindici anni, un’età tale da poter essere una tua sorella minore. La cerimonia nuziale è già stata celebrata, ma, naturalmente, la consumazione fisica del matrimonio sarà rinviata fino ad una maggiore maturità di Bambola di Giada ».
Tacqui, anche se sarei stato in grado di dire, al savio Nezahualpìli, qualcosa a proposito delle capacità fisiche di alcune adolescenti Mexìca. […]
Risposi, evasivamente: «Chàlchiunènetzin potrebbe non gradire che io venga nominato suo tutore, Signore Oratore. Una fanciulla può essere caparbia, indomabile, gelosa della propria libertà…»
« Come io ben so » sospirò Nezahualpìli. « Ho due o tre figlie press’a poco della stessa età. E Bambola di Giada, essendo la figlia principessa di uno Uey-Tlatoàni e la consorte regina di un altro, sarà probabilmente ancor più vivace. Non condannerei nemmeno il mio peggior nemico ad essere il custode di una giovane femmina focosa. Ma credo, Talpa, che tu la troverai, come minimo, piacevole a contemplarsi.»
[…] Come la giada, quella fanciulla regina era un qualcosa da trattare con il massimo rispetto e la più grande cautela.
[…] E, anche se io non riconobbi immediatamente il presentimento, come una bambola era destinata a rompersi.”
In battaglia
“Lasciai lì la lancia e il mantello e presi soltanto la maquàhuitl. Strisciando rasente a terra, quasi quanto un serpente, avanzai finché i due alberi si profilarono fuori della pioggia. Sotto ad essi si trovavano erba alta e bassi cespugli attraverso i quali erano rimaste, quasi impercettibili, le tracce del passaggio di un cervo.
Dovetti presumere che il Texaltèca in fuga stesse seguendo quelle tracce. Non udii alcun grido di avvertimento da parte di Cozcatl, e pertanto dovevo essere riuscito a mettermi in posizione inosservato. Mi accosciai sui calcagni alla base di un albero, tenendo il tronco tra me e l’uomo che si avvicinava. Impugnando la maquàhuitl con entrambe le mani, la portai dietro la spalla, parallela al terreno, e la tenni così equilibrata.
Oltre al bisbiglio frusciante della pioggia udii soltanto il più lieve crepitio d’erba e di ramoscelli smossi. Poi un piede imbrattato di fango, entro un infangato sandalo la cui suola era orlata da artigli di giaguaro, venne posato sul terreno proprio davanti al mio nascondiglio. Un attimo dopo, il secondo piede venne a trovarsi davanti ad esso. L’uomo, ora al riparo tra gli alberi, doveva avere corso il rischio di raddrizzarsi in tutta la sua statura per dare un’occhiata in giro e orizzontarsi.
Vibrai la spada dal filo di ossidiana, come l’avevo vibrata una volta contro un tronco di nopàli, e il cavaliere parve rimanere sospeso in aria per un attimo prima di piombare al suolo lungo disteso. I piedi entro i sandali rimasero ove si erano trovati prima, nettamente troncati sopra le caviglie. Gli fui addosso con un balzo, scalciai via la maquàhuitl […]”
Molte parole nel linguaggio dei nativi precolombiani, ma che diventano ben presto familiari durante la lettura del romanzo L’azteco.
Devo concludere
Spero che molti di voi sentano il desiderio di leggere L’azteco.
Io sentito questo desiderio molti anni fa, e continuo a considerare questo romanzo uno dei più bei libri di avventura che io abbia mai letto. Storia vera? Fantasia? Un abile mix di entrambe le cose?
Penso che la ricetta che ha dato la fama a questo romanzo sia proprio l’abilità di Jennings nel miscelare questi due ingredienti narrativi.
Vi saluto e concludo con due pensieri di Gary Jennings che ben riassumono il personaggio.
“L’amore ed il tempo, sono le sole due cose in tutto il mondo ed in tutta la vita che non possono essere comprate, ma solo spese.”
“Di tutto ciò che ho posseduto nella mia vita, i miei ricordi sono le sole cose che mi restano. Infatti io credo che i ricordi sono il solo vero tesoro che ogni essere umano può sperare di possedere sempre.”
Dello stesso autore
Nomadi recensito il 08/05/2019
Per chi desidera approfondire od acquistare
- L’azteco – il libro di oggi
- L’autunno dell’azteco (1997) – il sequel de L’azteco
- Predatore (1992) – il quarto grande romanzo storico di Jennings
- Video YouTube: How To Speak Nahuatl -basic words (Come pronunciare le principali parole in Nahuatl) – In inglese, per i più curiosi!
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