Ci sono voluti oltre trent’anni prima che la mia curiosità di lettore di romanzi mi portasse in contatto con Nomadi (1987). E’ questo il titolo del monumentale terzo romanzo storico, di oltre 1200 pagine, scaturito dalla penna di Gary Jennings.
Il singolare scrittore statunitense, scomparso nel 1999, entra a far parte dei miei autori preferiti verso il 1984/85 attraverso il suo primo romanzo L’Atzeco (1980).
Il fascino dell’argomento – la storia dell’impero Atzeco prima e durante l’arrivo degli spagnoli, attrae la mia attenzione in una libreria di Varese. Lo sfoglio e poi, incuriosito, decido di superare le mie perplessità iniziali dovute alla eccezionale dimensione del volume (1024 pagine) e lo compro.
Il racconto è interessante. Il libro scorre bene e, in pochi giorni, lo divoro con grande interesse restandone affascinato. Poi negli anni, scopro Il viaggiatore (1984) – la sconcertante riscrittura de ‘Il milione’ di Marco Polo.
E poi ancora Il predatore, ed i diversi sequel de L’Azteco, in gran parte postumi. Diversamente dalle mie abitudini, negli anni ritorno sui primi due libri, e finisco di leggerli e rileggerli più volte senza che il piacere della scoperta venga in qualche modo limitato. Anzi!
Gary Jennings è uno scrittore che viene definito ‘storico’, anche se tale collocazione può risultare un po’ azzardata. I suoi romanzi sono, a mio avviso, romanzi di fantasy inseriti in una cornice storica autentica. Nella quale però gli eventi descritti ed i personaggi con le loro storie appartengono alla straordinaria visione fantastica dello scrittore.
Nomadi o ‘Spangle’
‘Spangle’ è il titolo originale inglese del suo terzo romanzo pubblicato negli USA nel 1987. Nel linguaggio anglosassone ‘spangle’ sta per ‘lustrino’ o ‘paglietta’ e riconduce al tema vero del romanzo, cioè al Circo ed ai suoi protagonisti.
Nell’introduzione di Nomadi dell’edizione digitale italiana (Rizzoli BUR con la traduzione di Alessandra Cremonesi Cambieri) trovo scritto:
“Sono nomadi: Florian, Madame Solitarie, Clover Lee, Magpie Maggie Hag, il nano Tiny Tim Trimm… Il loro Florilegium è un piccolo circo. È il 1865.
Percorrono le strade poco battute della Virginia e alzano il loro tendone dove capita. In cerca di successo, decidono di attraversare l’oceano per esibirsi in Europa: dall’Italia alla Germania, dalla Russia alla Francia. Viaggi picareschi, durante i quali si uniscono alla carovana circensi di tutto il mondo. Alcuni muoiono tragicamente, altri si innamorano, e lasciano la compagnia. Ma lo spettacolo continua e per poche ore offre una favola, un sogno.”
Il contenuto del romanzo
“Dopo la conclusione della guerra di secessione americana due soldati confederati, il colonnello Zachary Edge e il suo sergente Obie Yount, incontrano casualmente la sgangherata compagnia circense del Fiorente Florilegio delle Meraviglie di Florian, che faticosamente tenta di riprendere la propria attività dopo la sospensione dovuta alla guerra. Pur con qualche titubanza iniziale i due decidono di unirsi alla compagnia.
Sotto la guida di Florian, il proprietario alsaziano poliglotta e dalle mille risorse, il circo e i suoi artisti affronteranno un lungo viaggio verso il riscatto economico ed artistico che li porterà dapprima ad abbandonare i disastrati stati del sud per esibirsi nei più ricchi stati settentrionali, poi in un’avventurosa tournée europea che si concluderà con il trionfo di pubblico ottenuto a Parigi ma anche, tristemente, con la morte di Florian che passa il testimone di guida della compagnia proprio all’ex colonnello Edge.”
Lo stile di Jennings
Dopo aver attinto da Wikipedia per questa sintetica trama, vi voglio proporre un saggio della scrittura di Jennings, prendendo alcune righe delle prime pagine del romanzo.
“[…] Si fermò dietro l’ultimo schermo gocciolante di piante palustri e, infradiciandosi a sua volta da capo a piedi, spiò a pochi metri di distanza i due uomini con la divisa grigia. Stavano in piedi nelle secche della riva vicinissimi all’elefante, con l’acqua che arrivava loro quasi in cima agli stivali.
Mentre studiavano l’animale, uno di loro allungò un braccio per carezzargli la proboscide, al che Brutus, con aria deliziata, sollevò e sventolò e arrotolò voluttuosamente l’appendice. Florian guardò a valle, vide il piccolo fuoco acceso sotto il ponte e, un po’ più giù, due cavalli impastoiati che stavano pascolando tra gli arbusti.
Gli occhi di Florian brillarono, mentre mormorava tra sé e sé, stavolta tutt’altro che depresso: «Bene, bene…». Poi sbucò coraggiosamente all’aperto, avanzando verso gli uomini e l’elefante, e gridò in tono decisamente gioviale: «Buonasera, amabili signori!».
I due si voltarono senza un moto di trasalimento o di allarme, ma uno di loro appoggiò distrattamente la mano sulla grande fondina nera che portava appesa al cinturone.
Con gesto da gran signore, Florian disse: «Permettetemi di presentarvi, signori, Brutus il Grande, la Bestia più grande della Terra!». Gli uomini s’inchinarono con aria abbastanza benevola, prima a lui e poi al pachiderma. Florian s’indirizzò a quello con la pistola al cinturone e le due stelle ricamate sul collo della giacca.
«Colonnello, sa cosa vuol dire quando gli si accarezza la proboscide come ha appena fatto lei, e l’elefante l’arriccia in un rispettoso saluto, come ha fatto Brutus or ora?» Edge rispose seccamente: «No, signore, non lo so». «Significa — secondo un’antica tradizione del circo — che un giorno lei dirigerà un circo tutto suo.»
Pagine tecniche – Capitolo 6
“Malgrado gli abili insegnamenti di LeVie, Paprika non divenne mai brava come lui nella parte “volante” del numero al trapezio, ma non era necessario. Quando infine decisero di inserirla nello spettacolo, Florian cominciava col presentare soltanto Paprika — «l’ardimentosa acrobata a-c-ro-batica, Signorina Paprika!» — e lei saliva agilmente sulla scaletta di corda fino alla piattaforma. Sganciava la sbarra del trapezio, la faceva oscillare e — mentre la banda suonava il vivace motivo tzigano ungherese Non c’è che una ragazza — lei si lanciava sul trapezio oscillante. Ed eseguiva vari movimenti e giravolte, tenendosi alla sbarra con l’incavo dei ginocchi, con i talloni e perfino con una sola mano.
Concludeva il numero riguadagnando la piattaforma e alzando le braccia per ricevere gli applausi. In quel momento un uomo sporco, stracciato e ubriaco avanzava dalle gradinate barcollando e inciampando. Attaccava briga con Florian e con Edge, e lottava con il boemo che si era precipitato nella pista. Ma l’ubriacone riusciva sempre a liberarsi e saliva di corsa sulla scaletta di corda. Fingendo più volte di scivolare e star lì lì per cadere prima di raggiungere la piattaforma, sciogliere il trapezio che Paprika aveva fissato e lanciarsi con l’attrezzo nel vuoto.
…colpo di scena.
Mentre oscillava reggendosi ora con una sola mano, e a volte pericolosamente con mani e piedi insieme, Paprika assumeva un’aria atterrita e la banda suonava una cacofonica versione dell’ouverture dell’Olandese Volante di Wagner. Ma a questo punto l’ubriacone cominciava a togliersi e a lasciar cadere pezzo pezzo i suoi luridi stracci. Nell’istante in cui “Pete Jenkis” sul trapezio si trasformava nell’acrobata con la calzamaglia azzurra cosparsa di lustrini, e il pubblico rideva della propria ingenuità. E la banda scivolava armoniosamente nel Bal de Vienne, Paprika si lanciava sul trapezio.
Maurice eseguiva le sue acrobazie aeree su una sbarra, mentre Paprika lo imitava sull’altra. Poi lei si ritirava sulla piattaforma e Maurice eseguiva i suoi tuffi e le sue capriole e le sue piroette come un barbaglio azzurro, volteggiando da un trapezio all’altro.
Nel momento culminante del numero, Maurice e Paprika sulle sbarre cominciavano a oscillare sempre più veloci e sempre più in alto — fino a che entrambi lasciavano l’appoggio (sordo rullìo di tamburo). Sfrecciavano l’uno davanti all’altra in un doppio salto mortale a mezz’aria, si afferravano all’altra sbarra, si alzavano in piedi e tornavano a sedersi con disinvoltura salutandosi e sorridendo. Mentre il pubblico scoppiava in un uragano di grida, applausi, fischi, urla di “bravo” e “brava”.”
E pagine romantiche
Siamo al capitolo 8. Il viaggio del circo attraverso l’Europa continua. E l’amore sbocciato fra il colonnello Edge e la bella Autumn è una gioiosa realtà.
“Florian dichiarò: «Qui non daremo spettacolo. Merano è una stazione di cura per tubercolotici. Vengono qui a fare la cura del riposo, la cura d’aria fresca, la cura dell’ uva. Probabilmente non ce la farebbero a salire sulle tribune, col loro respiro affannoso. Però cercheremo di sistemarci tutti in qualche locanda. Che ognuno mangi allegramente e si goda una bella nottata di riposo sotto i piumini. La strada che ci aspetta sarà dura, e senza molte attrattive».
Dopo cena Autumn ed Edge, prima di ficcarsi sotto le grandi, calde e leggerissime trapunte di piume d’oca, uscirono sul balcone della loro stanza. Era una notte di luna piena, e la sua luce rendeva ancora più maestose le alte cime nevose che circondavano Merano distesa nella pianura. I profili lucenti e bianco-azzurri delle montagne con le profonde ombre nere delle vallate risaltavano aguzzi come un pezzo di latta frastagliato contro il cielo azzurro cupo.
«Incantevole» mormorò Autumn. Guardò intorno a sé l’ampio orizzonte e, quando tornò a guardare Edge, questi notò che le pagliuzze dorate dei suoi occhi simili a petali di fiori erano visibili anche sotto i raggi lunari.
Autumn osservò: «Sai, a pensarci bene la luna è sempre piena. Solo che non possiamo vederla».
Lui sussurrò pieno di ammirazione: «Con gli occhi che hai arrivo a credere che tu possa vederla sempre. Quanto a me, non possiedo una percezione tanto acuta. Mi sono accorto soltanto adesso di una cosa. La mia ombra è nera. L’ombra di chiunque è nera. La tua ha il colore delle rose».
Involontariamente lei guardò per terra, poi rise. «Bugiardo. Sciocco.»
«Be’, a me sembra così. Tutto di te, amore mio, mi fa pensare ai fiori.»”
Ma nel libro troverete tanto, tanto di più!
La mia esperienza di lettore
Prima di scrivere Nomadi, Gary Jennings ha viaggiato con nove diversi circhi in America e in Europa. Niente è lasciato solo al caso o alla fantasia. Dietro all’ impressionante numero di pagine esiste un lavoro di ricerca e di documentazione che da solo potrebbe qualificare il grande valore dell’autore.
Documentandomi su Nomadi ho trovato questa domanda: “Perché si continua a leggere questa storia immensa e complicata?” Ci ho riflettuto a lungo e questa è stata la mia risposta.
In questo suo romanzo ‘immenso e complicato’ ho scoperto un intreccio di personaggi, di luoghi, di vicende e di Storia da farne più libri in uno solo. In ciascuno di essi il lettore ritrova tutti gli ingredienti narrativi propri di questo straordinario autore che sa catturare e coinvolgere.
Uno scrittore fuori dagli schemi. Amato da molti lettori e probabilmente anche da altrettanti ripudiato per il suo modo di raccontare, per le sue descrizioni talvolta eccessive e sicuramente non gradite da tutti. Un affabulatore che non esito a definire controverso.
Dicono di lui
“Nomadi è il primo tentativo di G. Jennings di descrivere un periodo storico relativamente moderno con personaggi che sono come noi, che pensano come noi, indossano abiti simili ai nostri ed usano il nostro linguaggio. Un passato che risale a soli 120 anni orsono dà al libro qualcosa di strano e di diverso. Ma fa di questo libro un romanzo ‘realistico’, non un semplice romanzo. Produce, ogni tanto, qualche inciampo all’autore ma proprio questa sua originalità è anche la grande forza di Nomadi e la sua superiorità rispetto ai suoi primi due libri.” (MacDonald Harris, romanziere, sul L.A. Times)
Nomadi: un viaggio a ritroso nel mito del circo, uno scintillante affresco di un mondo quasi scomparso. Ma che appartiene al nostro universo.
La gente del circo! Fatto di uomini e donne normali, con esistenze normali, con desideri normali. Diversi solo perché dotati di qualche abilità particolare che affascina altra gente che forse sogna di essere come loro. Da riscoprire in ogni pagina di Nomadi. Tante pagine… troppe? Forse…
Ma se invece ne valesse la pena?
Dello stesso autore
L’azteco recensito il 11/05/2021
Per chi desidera approfondire od acquistare
- Nomadi (il libro di oggi)
- L’Azteco (il suo primo romanzo)
- Il viaggiatore (il suo secondo romanzo)
Marija Maraspin dice
Concordo,dopo il “Viaggiatore”,ho acquistato tutti suoi libri.Il mio scrittore preferito.Consiglio
Paolo Canuto dice
Grazie Marija per il tuo commento e consiglio. Anch’io, come te, ho letto tutta la produzione di G. Jennings. Prima “L’Azteco” nel 1985, poi “Il Viaggiatore” e, negli anni, tutti gli altri. “Nomadi” è stato l’ultimo che ho comprato e non potevo fare a meno di recensirlo, soprattutto per far conoscere questo autore a tanti giovani. Poche settimane fa ho riletto “L’Azteco” e l’ho apprezzato ancora più della prima volta. Un volume di 1000 pagine letto in un fiato! Forse lo recensirò prossimamente. Che ne dici? Grazie comunque per il tuo sostegno. Paolo Canuto