Lo scrittore
Philip Milton Roth è considerato uno dei maggiori scrittori americani del nostro tempo. Autore di ventiquattro romanzi, alla data odierna, la sua produzione letteraria comprende anche un quarantina di altre opere fra racconti e saggi. Pluripremiato in tutto il mondo, nel 2013 ha ricevuto la Legiòn d’onore della Repubblica francese. Nato a Newark nel New Jersey nel 1933, ha pubblicato il suo primo romanzo ‘Letting Go’ nel 1962 dopo 10 anni di produzione letteraria attraverso racconti e recensioni per varie riviste statunitensi.
Nel 2012 all’età di 79 anni, Roth ha stabilito di voltare pagina rilasciando questa dichiarazione pubblica:
“Ho deciso che ho chiuso con la narrativa. Non voglio leggerla, non voglio scriverla, e non voglio nemmeno parlarne.”
Il romanzo della recensione di oggi, Pastorale americana (American Pastoral) il suo quindicesimo romanzo, è stato pubblicato nel 1997 negli States e l’anno seguente viene tradotto in Italia. Nel 1977 P. Roth vince il premio Pulitzer per questa opera e nel 1998 riceve la National Medal of Arts alla Casa Bianca. Il mio incontro con i romanzi di Roth risale a qualche anno fa attraverso un suo romanzo successivo ‘La macchia umana’, diventato poi un film, e che mi aveva molto colpito per la drammatica intensità della storia. Recentemente ho visto il film ‘American Pastoral’ e poi mi sono immerso nella lettura del romanzo.
Il romanzo e la trama
Sul retro della copertina della traduzione italiana del libro leggiamo:
“Seymour Levov è un ricco americano di successo: al liceo lo chiamano ‘lo Svedese’. Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l’adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull’amore e sull’odio per l’America, sul desiderio di appartenere ad un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell’ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.”
Il libro di 462 pagine edito da Einaudi e tradotto da Vincenzo Mantovani porta questo incipit: “Sogna, quando il giorno è passato, – Sogna, e i sogni potrebbero avverarsi, – Le cose non sono mai così brutte come sembrano, – Perciò sogna, sogna, sogna.” da Dream di Johnny Mercer.
I romanzi di Philip Roth, ebreo americano di terza generazione, sono spesso autobiografici. Anche se per le sue storie utilizza talvolta degli alter ego come in Pastorale Americana. E gli ambienti sono quelli della sua storia personale, ricostruita con una vivida memoria e con grande abilità descrittiva.
La mia lettura di questi giorni
Il romanzo fa una certa fatica a decollare. Fedele al suo titolo ripercorre per quasi un quarto delle pagine la storia della famiglia Levov, di origine ebraica, da decenni produttrice di migliori guanti di Newark la città nella quale il nonno del protagonista, Seymour Levov ‘lo Svedese’, ha iniziato l’attività che renderà la dinastia una delle famiglie di maggior successo della cittadina del New Jersey, denominata ‘Brick City’, la città del mattone.
La vita di Seymour è quella di un vincente. A partire dalla sua adolescenza fino alla sua completa maturità. Fortunato negli affari e fortunato in amore quando, lui appartenente alla minoranza ebraica, riuscirà a sposare la bella Dawn Dwyer, Miss New Jersey, non ebrea.
Dal matrimonio nascerà una figlia, Merry, e la felicità della coppia diventa completa finché, crescendo, la loro creatura tanto amata rivela un grave problema di balbuzie. E poi col passare degli anni… comincia la contestazione.
Un esempio
Riporto un brano del dialogo di Merry col padre (ricordo che la figlia è balbuziente). E’ il padre che parla per primo:
“– Non voglio che ti fermi a dormire da Bill e Melissa. – P-p-pepperché? – Sono io che devo occuparmi di te. E io voglio che ti fermi dagli Umanoff. Se sei d’accordo, puoi andare a New York e fermarti là. Altrimenti non ti darò il permesso di andarci. A te la scelta. – Se ci vado, è per stare con la gente con la quale voglio stare. – Allora non ci vai. – Vedremo. – Non c’è nessun «vedremo». Non ci vai, e il discorso finisce qui. – Vorrei vedere come farai a impedirmelo. – Pensaci. Se non accetti di dormire dagli Umanoff, non puoi andare a New York. – E la guerra?… – Io mi sento responsabile di te e non della guerra. – Oh, lo so che non ti senti responsabile della guerra: p-per questo devo andare a New York. P-p-pepperché là la gente si sente responsabile. Si sente responsabile quando l’America fa sa-saltare in aria i villaggi vietnamiti. Si sente responsabile quando l’America fa a p-pezzi i b-bambini p-p-pipipiccoli. Tu no, invece, e la mamma nemmeno.”
Un libro che vale
E poi la tragedia che si abbatte sulla famiglia. La madre rasenta la follia, il padre non riuscirà più a ritrovare se stesso. I tentativi di ricostruire una vita che naufragano di fronte a fatti che riportano ad un dolore senza tregua, alla ricerca inutile della ragione di un così clamoroso fallimento umano.
Una introspezione impietosa di grande attualità anche ai giorni nostri. Lo scontro fra generazioni che non riescono a ritrovare un linguaggio comune.
Il libro è piuttosto complesso. Molto articolato e denso di riflessioni, richiede una grande concentrazione da parte del lettore; soprattutto abituati come siamo dalla narrativa più recente che racconta velocemente senza troppo approfondire. Eppure dopo la lettura della prima parte sono stato letteralmente catturato dal dramma di questa famiglia. Ed inevitabilmente, come padre di quattro figli, mi sono ritrovato ad interrogarmi sulle insicurezze, le ansie, i dubbi, gli interrogativi ed i possibili sensi di colpa di un genitore di fronte alla propria sconfitta. Ma il libro è molto di più.
La scrittura di Roth è impietosa ed inesorabile. Nessun personaggio che ruota intorno alla ‘tragedia americana’ del sogno infranto ne esce assolto e senza danni. Temo che ogni lettore finisca di riconoscere in qualche nome del romanzo una parte di se stesso. Ed in tale caso il frammento che affiora sotto la coltre del sogno non è quasi mai il migliore. Leggere Pastorale Americana è una lunga sessione di psicanalisi che dura tutto un libro. Era proprio indispensabile che fosse così? E’ veramente utile? Sempre condivisibile?
Un libro che ho letto con sentimenti alterni e talvolta con un senso di inquietudine.
In ogni caso una splendida scrittura, un romanzo di grande respiro. Molto impegnativo e coinvolgente. Una riflessione profonda sulle persone e sulla vita. Ma che può anche far male!
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