Da molto tempo cullavo l’idea di inserire fra le mie recensioni il seguito della trilogia di Stieg Larsson, ed eccomi finalmente con la recensione di Quello che non uccide.
Firmato da David Lagercrantz, questo nuovo titolo rappresenta il quarto volume della Serie Millennium, in ideale continuità con le avventure che hanno reso famosi Mikael Blomkvist e Lisbeth Salander.
Sul retro della copertina del volume il potenziale lettore troverà una nota di Christopher MacLehose, editore britannico che recita così.
“Chi leggerà questo quarto volume saprà esattamente dove si trova. Sarà come tornare a casa, ritrovare un bagno caldo che si è dovuto lasciare a malincuore in un giorno d’inverno.
Il libro
Pubblicato in Italia da Marsilio Editori, Quello che non uccide (originale svedese Det som inte dödar oss) appartiene alla Collana ‘Farfalle – giallosvezia’.
L’edizione in copertina flessibile conta 503 pagine ed è tradotta nella nostra lingua da Laura Cangemi e Katia de Marco. Tanto l’edizione originale svedese che quella in italiano risalgono al 2015.
Il primo volume della saga Millenium (trilogia di Stieg Larsson Uomini che odiano le donne – ‘Män som hatar kvinnor’ ) viene pubblicato in Svezia nel 2005.
Sono quindi 10 anni l’intervallo tra la scrittura del compianto autore e l’uscita della nuova serie (già diventata anch’essa una seconda trilogia).
David Lagercrantz riprende il lavoro letterario del suo predecessore – che ha venduto complessivamente 8 milioni di copie in tutto il mondo – per continuare a farci vivere le avventure dei due apprezzati protagonisti.
Millennium – le trilogie
Firmata da Stieg Larsson la prima trilogia racconta le avventure dell’inedita coppia Blomkvist – Salander.
Uomini che odiano le donne (2005), La ragazza che giocava col fuoco (2006), La regina dei castelli di carta (2007). Tutti pubblicati dopo la morte dell’autore avvenuta nel novembre 2004.
Il progetto dell’autore era molto più ampio. Prevedeva cioè ben 10 titoli. Ma al momento della sua morte improvvisa, del possibile quarto romanzo, Larsson aveva redatto solo circa 200 pagine.
David Lagercrantz decide, anni dopo, di dare un seguito alla serie interrotta, ma lo fa in modo totalmente personale, con la continuità rappresentata dalla presenza degli stessi protagonisti che hanno fatto la fortuna della prima serie.
Alla data odierna l’erede morale di Larsson, ha già anch’egli completato una nuova trilogia.
Oltre al Millenium 4 – Quello che non uccide (il nostro libro di oggi) pubblicato nel 2015 e che non ha rapporti con le 200 pagine postume ritrovate, abbiamo altre due storie pubblicate a due anni di distanza l’una dall’altra.
I due titoli sono L’uomo che inseguiva la sua ombra (2017) e La ragazza che doveva morire (2019).
Appartenendo ai lettori che hanno apprezzato la scrittura dell’autore della prima serie, ho poi saputo di questo sequel che era in corso di pubblicazione.
Ho letto pareri molto diversi a proposito della nuova serie a firma Lagercrantz finché, proprio in questi giorni, ho deciso di farmi un’idea personale ed ho affrontato Quello che non uccide.
Per cominciare vorrei proporvi a titolo di confronto le prime righe della prosa di Stieg Larsson tratte da Uomini che odiano le donne e poi, subito dopo l’inizio di Quello che non uccide, attraverso lo stile letterario di David Lagercratz.
Uomini che odiano le donne – Cap. 1
“Il processo era ineluttabilmente finito, e tutto ciò che si era potuto dire era già stato detto. Nemmeno per un secondo aveva dubitato che sarebbe stato condannato. La sentenza scritta era stata emessa alle dieci del venerdì mattina e adesso rimaneva soltanto il riassunto conclusivo dei reporter che erano in attesa nel corridoio del tribunale.
Mikael Blomkvist li intravide attraverso il vano della porta e indugiò qualche secondo. Non voleva discutere la sentenza che aveva appena ritirato, ma le domande erano inevitabili e nessuno meglio di lui poteva sapere che andavano poste e che bisognava rispondere. Ecco cosa si prova a essere un criminale, pensò. A stare dalla parte sbagliata del microfono. Si stiracchiò imbarazzato e cercò di tirare fuori un sorriso. I reporter glielo ricambiarono e assentirono nella sua direzione con aria amichevole, quasi impacciata.
«Vediamo… Aftonbladet, Expressen, TT, Tv4 e… di che giornale sei tu… ah, Dagens Industri. Devo essere diventato famoso» constatò Mikael Blomkvist.
«Rilasciaci una dichiarazione, Kalle Blomkvist» disse il reporter di uno dei giornali della sera. Mikael Blomkvist, il cui nome completo era in realtà Carl Mikael Blomkvist, si costrinse come sempre a non alzare gli occhi al cielo nel sentire il nomignolo. Una volta, vent’anni addietro, quando aveva ventitré anni e aveva appena cominciato a lavorare come giornalista nella sua prima sostituzione estiva, senza volerlo aveva smascherato per caso una banda di rapinatori di banche che nel giro di due anni avevano messo a segno cinque colpi di una certa importanza. Che in tutte le occasioni si fosse trattato della stessa banda non c’era alcun dubbio; la loro specialità era di piombare in piccoli centri e rapinare con precisione militaresca una o due banche alla volta. […]”
E adesso eccovi il seguito.
Quello che non uccide – Cap. 1
“Frans Balder si era sempre considerato un pessimo padre.
Malgrado August avesse già otto anni, non aveva praticamente mai provato ad assumersi quel ruolo, e non si poteva certo dire che fosse particolarmente a suo agio neanche all’idea di farlo. Ma era suo dovere, la vedeva così. Con la madre e quel suo compagno del cazzo, Lasse Westman, il bambino non stava bene.
Perciò Frans Balder aveva lasciato il lavoro nella Silicon Valley ed era tornato a casa. In quel momento si trovava ad Arlanda, quasi in stato di shock, in attesa di un taxi. C’era un tempo veramente di merda: la pioggia e il vento forte gli sferzavano il viso, e per la centesima volta si domandò se avesse davvero fatto la cosa giusta.
Non era assurdo che proprio lui, tra tutti i dementi egocentrici, avesse deciso di fare il papà a tempo pieno? Per lui era più o meno come andare a fare il guardiano allo zoo. Non sapeva niente di bambini e ben poco anche della vita in generale, e la cosa più strana era che nessuno gliel’aveva chiesto. Non c’erano una madre o una nonna che gli avessero telefonato per richiamarlo alle sue responsabilità.
Aveva deciso tutto da solo, e adesso, senza il minimo preavviso e andando contro una vecchia sentenza di affidamento esclusivo, aveva intenzione di presentarsi a casa dell’ex moglie e di portare via con sé il bambino. Sarebbe sicuramente scoppiato un bel casino. Probabilmente le avrebbe anche prese da quello stronzo di Lasse Westman. Ma le cose stavano come stavano, perciò saltò su un taxi guidato da una donna che masticava compulsivamente una gomma e i cui tentativi di fare conversazione sarebbero falliti anche se fosse stato più in forma […]”
La mia esperienza di lettore
Avendo davanti due testi limitati a qualche paragrafo il confronto è sicuramente di scarso valore. Anche se vogliamo esclusivamente testare il modo di scrivere dei due autori.
Se un giudizio si vuole esprimere lo si può fare solamente al termine della lettura dei due romanzi giudicati nel loro complesso.
E provo a raccontarvi come l’ho vissuta io.
Prendiamo a spunto il personaggio femminile che il vero punto forte della Saga: Lisbeth Salander
Eccola nella scrittura di Stieg Larsson.
Lisbeth da Uomini che odiano le donne
“La ragazza non sembrava solo problematica — ai suoi occhi era l’incarnazione stessa del concetto. Aveva trascurato le ultime classi delle medie, non aveva mai messo piede al liceo e mancava di qualsiasi forma di istruzione superiore.
I primi mesi aveva lavorato a tempo pieno, be’, quasi a tempo pieno; a ogni modo, era comparsa di quando in quando sul posto di lavoro. Preparava il caffè, ritirava la posta e si occupava delle fotocopie. Il problema era che non gliene importava un fico secco dei normali orari d’ufficio o delle normali procedure di lavoro.
Ma possedeva un grande talento per irritare i collaboratori della società. Presto fu nota a tutti come la ragazza con due cellule cerebrali, una per respirare e una per stare eretta. Non parlava mai di se stessa. I collaboratori che cercavano di parlare con lei ricevevano raramente una risposta e ben presto si arrendevano. I tentativi di scherzare non cadevano mai su un terreno fertile — o ti guardava con grandi occhi privi di espressione, oppure reagiva con palese irritazione.
Inoltre si era fatta la nomea di essere capace di improvvisi quanto drastici cambiamenti d’umore se si metteva in testa che qualcuno la stava prendendo in giro, il che non era un elemento del tutto sconosciuto nel gergo generale del posto di lavoro. Il suo atteggiamento non stimolava né la confidenza né l’amicizia, e Lisbeth divenne presto un bizzarro fenomeno che si aggirava come un gatto randagio per i corridoi della Milton. Ormai la consideravano un caso senza speranza.
Dopo un mese di questo andazzo, Armanskij l’aveva convocata nel suo ufficio con tutte le intenzioni di metterla alla porta. Lei aveva ascoltato passivamente l’elenco delle sue pecche, senza sollevare obiezioni e senza battere ciglio.
Un tipo tosto!
Solo quando lui aveva finito di spiegare che lei non aveva l’atteggiamento giusto e stava per suggerire che probabilmente sarebbe stata una buona idea se si fosse cercata un posto presso qualche altra azienda che sapesse meglio sfruttare la sua competenza, Lisbeth l’aveva interrotto nel bel mezzo di una frase. Per la prima volta, aveva parlato usando più che singole parole.
«Senti, se vuoi un usciere puoi andartelo a prendere all’ufficio di collocamento. Io sono capace di raccogliere qualsiasi genere d’informazione su chiunque, e se tu non mi sai sfruttare in altro modo che per smistare la posta, allora sei un perfetto idiota.»
Armanskij ricordava ancora come fosse rimasto ammutolito di stupore e rabbia, mentre lei senza scomporsi aveva continuato: «Hai qui un tizio che ha impiegato tre settimane per scrivere una relazione totalmente priva di valore su quello yuppie che pensano di reclutare come presidente del consiglio d’amministrazione di quella società dot.com. Ho fotocopiato quel suo schifo di rapporto ieri sera e vedo che ce l’hai lì davanti a te sulla scrivania.» Lo sguardo di Armanskij aveva cercato la relazione ma contrariamente alle sue abitudini il direttore aveva alzato la voce. «Tu non dovresti leggere i rapporti confidenziali.» «Probabilmente no, ma le procedure di sicurezza nella tua azienda hanno delle lacune. Secondo le tue direttive lui dovrebbe fotocopiarsi queste cose da solo, ma invece mi ha gettato lì la relazione prima di andarsene al bar ieri sera. E fra parentesi il suo precedente rapporto l’avevo trovato in sala mensa qualche settimana fa.» […]”
Qui Lisbeth appare quasi subito!
Lisbeth da Quello che non uccide
“Lisbeth Salander si trovava davanti al club scacchistico Raucher in Hälsingegatan, anche se non moriva dalla voglia di giocare. Aveva mal di testa, ma la caccia iniziata quella mattina l’aveva portata lì. Quando, mesi prima, aveva capito che Frans Balder era stato tradito da uno dei suoi, gli aveva promesso di lasciare in pace il traditore e, pur non condividendo quella strategia, aveva mantenuto la parola data. A causa dell’omicidio, però, ormai si sentiva esentata dalla promessa e da quel momento in poi avrebbe proceduto a modo suo.
Ma non era così semplice. Arvid Wrange non era in casa e, non volendolo accerchiare ma colpire come un fulmine a ciel sereno, Lisbeth aveva vagato con il cappuccio sollevato sulla testa, guardandosi intorno. Arvid conduceva una vita da fannullone, ma come in molti altri casi quella fannullaggine era scandita da una sua regolarità e grazie alle foto trovate su Instagram e Facebook, Lisbeth aveva individuato alcuni punti di riferimento: Riche in Birger Jarlsgatan, Teatergrillen in Nybrogatan, il club scacchistico Raucher, il Café Ritorno in Odengatan e qualche altro appiglio, tra cui un centro di tiro a segno in Fridhemsgatan e l’indirizzo di due ragazze.
Dall’ultima volta che era comparso sul suo radar, Arvid Wrange era cambiato. Non si era solo cancellato dalla faccia l’espressione da nerd, ma sembrava anche demoralizzato. Non che Lisbeth fosse particolarmente favorevole alle teorie psicologiche, ma non le era stato difficile constatare che alla prima trasgressione ne erano seguite altre. Arvid non era più uno studente ambizioso e avido di conoscenze. Ormai la sua navigazione nei siti porno rasentava la dipendenza e Lisbeth aveva verificato che comprava sesso in rete. Sesso violento: a posteriori, due o tre donne avevano minacciato di denunciarlo.
Ancora battagliera!
Invece che di videogiochi e di ricerca sull’IA, si interessava a prostitute e serate passate a bere in centro. Evidentemente aveva un bel po’ di soldi, ma anche un bel po’ di problemi. Solo quella mattina aveva googlato “protezione dei testimoni, Svezia” e non era stata una mossa prudente. Anche se non era più in contatto con la Solifon, almeno non dal suo computer, sicuramente lo tenevano d’occhio. Sarebbe stato molto poco professionale non farlo. Forse dietro la sua facciata mondana stava dando segni di cedimento, e certo era un bene. Le andava a pennello, e quando aveva chiamato il club per l’ennesima volta le avevano inaspettatamente risposto che Arvid Wrange era appena arrivato.
Per questo scese i pochi gradini in Hälsingegatan e proseguì lungo un corridoio fino a un locale grigio e spoglio in cui una manciata di persone, per lo più uomini anziani, era china sulle scacchiere. In quell’atmosfera sonnolenta nessuno fece caso a lei o mise in discussione la sua presenza lì. Erano tutti presi dalle partite e non si sentiva altro che gli scatti degli orologi regolamentari e qualche imprecazione isolata. Alle pareti si vedevano foto di Kasparov, Magnus Carlsen e Bobby Fischer, e perfino una di un Arvid Wrange adolescente e brufoloso che giocava con la star degli scacchi Judit Polgár.
Una versione con qualche anno in più sulle spalle era invece seduta a un tavolo sulla destra e sembrava in procinto di provare una nuova apertura. Di fianco alla sedia c’erano un paio di sacchetti di abiti di marca. Portava un maglioncino di lambswool giallo con una camicia bianca stirata di fresco e un paio di scarpe inglesi lucidissime. […]”
Queste righe sono invece l’inizio del cap. 15.
Concludendo
Per chiunque, raccogliere l’eredità letteraria di Stieg Larsson , avrebbe rappresentato un bella sfida! David Lagercrantz ha provato a farsene carico in modo serio, ma anche piuttosto scanzonato.
Ho inserito in fondo un video con un’interessante intervista rilasciata nel nostro paese da parte dell’autore, che ci dà la misura del personaggio.
Personalmente, avendo letto l’intera trilogia di Larsson, e visti tutti i film tratti dai romanzi (gli svedesi e l’americano), ho avuto qualche difficoltà iniziale a leggere Quello che non uccide.
Aspettavo Lisbeth e l’ho vista apparire solamente intorno alla pagina 200 del libro. Ma da quel momento lo scrittore ha fatto ciò che speravo… ed il romanzo ha preso velocità e non ho più potuto abbandonare la storia.
Mi è piaciuto? Posso dire di sì. E anche molto. Non voglio dire se preferisco Larsson o Lagercrantz. Ognuno potrà valutare come meglio crede.
Ma la storia di Mikael e di Lisbeth sta continuando ed è in ottima salute! Grazie!
Per chi desidera approfondire od acquistare
- Quello che non uccide – Il libro di oggi
- La ragazza che doveva morire – Il terzo volume della nuova saga Millenium
- Quello che non uccide – Trailer ufficiale italiano (film tratto dal romanzo)
- Video YouTube – David Lagercrantz presenta La ragazza che doveva morire
Rispondi