Devo a mia figlia Barbara la felice scoperta del romanzo Riti di morte della scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett. Entrambi ignoravamo l’esistenza di questa autrice finché il suggerimento di un’amica le ha fatto scoprire questo originalissimo giallo.
L’entusiasmo di Barbara al termine della lettura mi ha impedito di sottrarmi al contagio e, poche settimane fa, ho cominciato a leggerne le prime pagine.
Il romanzo
“Esordio di Petra Delicado, della ‘Policía nacional’ di Barcellona e del suo vice Garzón. Irresistibili eccentrici loro malgrado, inseguono uno stupratore seriale, e a fianco lievita la loro schermaglia cripto-erotica, briosa come una commedia di costume.”
Una sinossi di poche parole per presentare ai potenziali lettori questo libro di 388 pagine edito da Sellerio editore Palermo.
Come spesso succede in questi casi Riti di morte appartiene ad una serie al cui interno si muovono l’ispettore Petra ed il suo vice Fermín. Ed il libro di cui vi sto parlando è il primo della serie che, ad oggi, conta già 11 romanzi e 2 racconti brevi. Questi ultimi all’interno di un’antologia ma con gli stessi protagonisti.
Tradotti in quindici lingue, il giallo di Alicia Giménez-Bartlett si avvale, per la versione nella nostra lingua, dell’ottima scrittura di Maria Nicola.
La prima cosa originale di questa serie la dichiara l’autrice sul suo sito ‘www.aliciagimenezbartlett.es’ .
“Volevo un personaggio che fosse donna ma anche protagonista. Perché la donna nei romanzi gialli o è la vittima, che appare cadavere nella prima pagina, o è l’aiutante di qualcuno.”
E Petra Delicado, a partire da Riti di morte diventa l’espressione plastica di questo tipo di donna protagonista.
Eccola!
Dal cap. 1 di Riti di morte.
“[…] Sedevo battendo i denti davanti all’insufficiente camino e cercavo di concentrarmi su un volume dedicato alle più recenti tecniche investigative. Era appena stato tradotto in spagnolo da un lontano inglese di Chicago.
La maggior parte degli esempi esposti non aveva niente a che vedere con la sofferta realtà della Policía Nacional. Sapevo fin troppo bene che le risorse tecnologiche dell’FBI ci avrebbero messo dei secoli ad arrivare in Spagna. Ma imparare qualcosa di nuovo non fa mai male, malgrado sia difficile dire se abbia mai fatto bene a qualcuno.
Infatti, a dispetto della mia brillante formazione di avvocato e dei miei studi all’Accademia, non mi erano mai stati affidati casi spettacolari. Essere considerata un’«intellettuale» ed essere donna bastava a fare di me un’emarginata, non avevo nemmeno bisogno di essere negra o gitana.
Fin dall’inizio ero stata destinata al servizio documentazione, dove mi occupavo di questioni generali: archivi, pubblicazioni e biblioteca, cosa che aveva finito per inchiodarmi a un ruolo meramente teorico nella mente dei colleghi. Chiesi con insistenza di avere compiti operativi e mi fu concesso. Intervenni in qualche caso di furto, che non richiese nemmeno delle indagini. Non ero entrata in polizia ispirata dai film d’azione o dai libri gialli: inseguimenti, colluttazioni, fiumi di whisky, vita da duri… tutto questo non faceva per me. Ma l’idea di rimanere per sempre allo stadio speculativo e libresco era un’inevitabile fonte di frustrazione.
Mi sentivo come un entomologo chiuso in laboratorio senza osservazioni sul campo, costretto a vedere gli insetti solo attraverso il microscopio, eternamente morti.”
Una telefonata inattesa
“[…] Era il commissario. La sua voce mi sorprese.
Coronas non mi chiamava mai a casa. Ma ancor di più mi sorprese il linguaggio ufficiale che usò. – La attendo in commissariato, ispettore. È richiesta la sua presenza per un compito operativo.
Domandare: «È successo qualcosa?» mi sembrava di un’ingenuità grossolana, ma non ero affatto abituata alle chiamate impreviste e non sapevo cosa diavolo dire. Il commissario avvertì il mio sconcerto ed esclamò: – Lo so che sono le dieci passate. – Questo non è un problema, arrivo.
Di sicuro il poveretto pensava di aver turbato un bel quadretto familiare: io seduta con il mio maritino davanti al televisore, oppure impegnata a interrogare mio figlio sulle tabelline o a preparare un soufflé… Nessuno sapeva niente della mia vita privata in commissariato. Mi sembrava una condizione indispensabile per non perdere il rispetto generale. Avevo visto certe colleghe impartire consigli telefonici alla bambinaia davanti a tutti: «Mettigli un pugnetto di riso nella pappina, ha il pancino un po’ smosso».
Per quanto capaci di risolvere l’enigma dei dieci piccoli indiani, quelle donne dimenticavano che esistono delle forme da rispettare. Non avevo mai visto un ispettore maschio telefonare a casa preoccupato per la dieta del pargolo. E i rapporti fra i sessi non erano ancora arrivati a una neutralità tale da permettere a una donna di mostrare senza conseguenze qualche debolezza. – Sono subito lì, traffico permettendo, non si preoccupi.
Forse in tutti quegli anni i miei superiori si erano convinti di farmi un favore offrendomi un servizio a orari fissi, che non richiedeva interventi urgenti, che non mi esponeva al mondo del crimine e alle sue crudezze. Proprio il posto adatto a una donna. Ma io non avevo faccende domestiche da sbrigare né bebè da nutrire, non avevo mai passato serate davanti al televisore con i miei mariti, e benché non avessi rinunciato del tutto ai soufflé, credevo di poter contemperare la pratica culinaria con una moderata dose di azione.”
L’incontro con Garzón
“[…] – Il viceispettore Garzón è stato appena trasferito da Salamanca. Un’ottima persona.
Assentii. Pensai che, per logica, quel Garzón fosse uno sbarbatello da svezzare. Non nutrivo molte illusioni sulla truppa che potevano mettermi a disposizione. E ad ogni modo le cose rimanevano poco chiare: perché mi avevano fatta venire fin lì? Per un’urgente presentazione di credenziali in grande stile? Forse sì, il commissario aveva fama di essere enfatico e cerimonioso.
– È un uomo con le palle, che le sarà d’aiuto. Ha molta esperienza operativa. La teoria del pivello sbarbato era subito sfumata.
Il commissario si alzò e aprì la porta. Cambiando completamente registro se ne uscì in un barrito sovrumano: – López, faccia venire Garzón! Nel corridoio non rispondeva nessuno.
Il commissario si spazientì: – Ma, dove cazzo…? López!! Mentre io riflettevo su quanto poco ci voglia per far crollare una reputazione diplomatica, comparve un agente dall’aria spaventata che si mise sull’attenti e fece il saluto militare. Il commissario rinunciò a chiedere spiegazioni e ripeté l’ordine con un certo malgarbo. Poi sorrise di nuovo e si rivolse a me: – È una notte difficile, anche se non sembra.
Finalmente entrò Garzón. Pensai subito che, più che un individuo con le palle, sembrava aver bisogno di un sospensorio o di qualche altro aggeggio ortopedico. Doveva avere una sessantina d’anni, cinquantasette come minimo. Mi ero sbagliata riguardo all’età, ma l’idea di non farmi illusioni restava valida.
Era sull’orlo della pensione, con i capelli quasi bianchi. Un tipo alla buona, con una pancia enorme. Mi diede la mano esitante, come un bambino costretto a fare la pace con un compagno di giochi.
– Le presento Petra Delicado, il fiore all’occhiello dei nostri archivi. Da quando c’è lei, in documentazione, tutto è perfettamente schedato e organizzato. ”
Il segreto dell’autrice
La collaborazione della ‘strana coppia’ comincia da qui. Un rapporto di sopportazione reciproca che sembra partire malissimo. E che nello scorrere delle pagine, nello svolgimento delle indagini, e nella successione dei romanzi diventa sempre scricchiolante, spesso conflittuale ma incredibilmente coinvolgente e, a tratti, molto divertente.
Il filone poliziesco si intreccia continuamente con la sfida psicologica tra i due protagonisti. Sfida di estrazione sociale e di cultura, ma anche sfida di genere e di ruoli.
Un continuo intreccio di dialoghi che talvolta rasentano la rissa!
Un esempio:
“– Crede che il mio atteggiamento sia stato troppo duro?
Fu come se un nugolo di vespe si fosse avventato su di lui.
– Cosa credo io…? Dio mi scampi dall’avere un’opinione! Chi comanda, comanda e amen.
Dovevo aspettarmelo. Probabilmente il viceispettore Garzón non era affatto contento di dover obbedire a una donna.”
Ma le indagini vanno avanti. E nonostante questa innaturale collaborazione piena di ostacoli e contraddizioni, gli sforzi dei due finiscono per sorprendere anche il più scettico dei detrattori.
Una moderna Agatha Christie spagnola
Per la costruzione del suo romanzo Riti di morte la Giménez-Bartlett ha attinto a piene mani dalla vita reale. E così scopro, da un intervista del 10 marzo 2013 riportata dal sito ‘www.elconfidencial.com’ dell’esistenza di una Petra Delicado in carne ed ossa. Racconta Alicia alla giornalista Ana Goñi:
“Margarita García, questo è il nome dell’alter ego, è una ispettrice capo del Cuerpo Nacional de Policía di Barcellona. 51 anni e tre decadi di carriera nel servizio, ha un passato di lotta a narcotraffico, omicidi, crimini economici, violenza sulle donne; ed una grande esperienza nell’intelligence.
Un curriculum professionale di tutto rispetto, che mi ha aiutata a fornire al personaggio di Petra il necessario realismo, molte trame e forse anche tratti del carattere.”
Circa la propria vocazione di scrittrice l’autrice la descrive come “una mania fin dalla nascita, se si può dire così. Una maledizione, piuttosto che una scelta.
Ai miei tempi, tutte le ragazzine sognavano di diventare ballerine oppure hostess; io invece scrittrice. Mio padre, mio zio e soprattutto mio fratello erano poliziotti. Quest’ultimo faceva parte dei ‘Serpico’: spesso in servizi di sorveglianza, e io, ad 8 anni, lo vedevo uscire e rientrare con la sua pistola, alle 2 del mattino…”
Ma fra le due donne esistono similitudini ancora più sorprendenti: entrambe iniziano con altro. La Giménez-Bartlett facendo supplenze la mattina e scrivendo nel pomeriggio; la García, studiando Storia e Geografia… finché, l’una e l’altra, scelgono di entrare in polizia.
“Ma alla fine – conclude la scrittrice – quella maledizione, quella benedetta maledizione, si è trasformata in realtà!”
E così
Ottima narrativa quella di Alicia Giménez-Bartlett. Intensa, movimentata, intrigante. Gli ispettori Petra Delicado ed il suo vice, inizialmente un po’ spiazzanti ed abbastanza eccentrici finiscono per infilarsi sotto la pelle del lettore dopo i primissimi capitoli.
Stile di scrittura fluido e spesso frizzante. Merito anche della azzeccata traduzione nelle nostra lingua.
Il romanzo Riti di morte mi è finito troppo presto, costringendomi ad un supplemento di lettura che ho trovato in Morti di carta. Che, purtroppo, ho divorato anche in pochissimi giorni. Ma, niente paura! E’ già in arrivo Mio caro serial killer .
Tre indagini di Petra Delicado. Dopo tanto tempo, ho scelto libri in formato cartaceo. Che rimagono ancora il miglior veicolo per condividere fra lettori con gli stessi gusti, le storie che mi appassionano di più. A presto!
Per chi desidera approfondire od acquistare
- Riti di morte (Ritos de muerte) (1996) – il libro di oggi:
- Morti di carta (Muertos de papel) (2000) – E’ stato ucciso un giornalista televisivo, odiato grufolatore di scandali rosa e sessuali. Il quarto caso di Petra Delicado:
- Mio caro serial killer (Mi querido asesino en serie) (2018) – Morte, follia solitudine in una storia nera che racconta la Spagna di oggi. Il più recente romanzo del ciclo:
- Una appassionante intervista a Alicia Giménez-Bartlett per chi vuol conoscere a fondo la brava scrittrice spagnola (che parla un ottimo italiano):
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