La scoperta
In un pomeriggio di inizio Novembre 2016, sto sfogliando, con mia figlia Barbara, alcuni numeri della rivista Ciak. Con lei, amante come me del buon cinema, sono alla ricerca di qualche film di qualità da acquistare per la nostra videoteca domestica.
Insieme leggiamo titoli e recensioni e qualche volta lei annota per i prossimi acquisti. Al termine della ricerca in testa alla lista spicca un titolo che ha come protagonista femminile Nicole Kidman. Confesso che nutro da tempo molta simpatia per la bella attrice australiana. Anche perché la visione di molti dei suoi film riesce sempre ad affascinarmi anche per la sua versatilità interpretativa.
Il titolo del film é appunto “Le due vie del destino”. Il giorno successivo compilo il mio ordine online e, due giorni dopo, il corriere mi consegna il pacchetto con ciò che ho richiesto.
All’interno diversi DVD o Blu-Ray e fra questi il titolo con la Kidman, unico fra tutti i film ricevuti inserito in un cofanetto. E scopro con mia sorpresa, che il cofanetto della Koch Media contiene, insieme al film, anche una copia cartacea del libro che lo ha ispirato. Un omaggio inatteso che apprezzo molto.
Da dove cominciare
Di solito preferisco scoprire la storia attraverso la lettura del libro e solo dopo visionare la riduzione cinematografica. Sul retro del contenitore DVD la sintesi è: “Una storia straordinaria di riconciliazione, amore e perdono.” Sul retro del romanzo una frase non molto diversa: “Una storia che ci insegna come l’amore possa guarire tutte le ferite.” Entrambe interessanti ma… da dove cominciare?
Questa volta è la curiosità di conoscere rapidamente la storia che mi spinge verso una diversa successione.
Ho davanti a me un volume di 298 pagine e un film di 112 minuti. Ed i due dati non mi consentono dubbi. In due ore di visione serale saprò tutto del film. Poi, con più calma, leggerò il romanzo autobiografico di Lomax.
La sera stessa guardo il film. E circa una settimana dopo, ultimata una precedente lettura ancora sul comodino, do’ il via al libro.
Il romanzo
Sul retro della copertina una breve introduzione dello stesso Lomax dice: “La passione per i treni e le ferrovie, mi hanno detto, è incurabile. Ho imparato che nemmeno per la tortura esiste una cura. Nel corso della mia vita queste due afflizioni si sono intimamente legate, eppure, per qualche fortuita combinazione di grazia o di fortuna, sono sopravvissuto a entrambe. Ma, per superare le conseguenze della tortura, mi sono serviti quasi cinquant’anni.”
Ed ancora più in basso una recensione del britannico The Sunday Times: “Profonda e splendidamente scritta, è una delle testimonianze più toccanti della seconda guerra mondiale.”
Apprendo che Eric Lomax l’autore, morto nel 2012 all’età di 93 anni, è stato ufficiale dell’esercito britannico durante la seconda guerra mondiale e poi fatto prigioniero e torturato dai giapponesi. Il romanzo è la sua testimonianza autobiografica di quella terribile esperienza.
Il libro originale, in lingua inglese, viene pubblicato nel 1995 col titolo “The Railway Man”. In Italia viene tradotto e pubblicato solo nel 2014 dalla Antonio Vallardi Editore di Milano. La traduzione dall’inglese è di Andrea Bernardini. Il titolo italiano della prima edizione porta come sottotitolo “Le due vie del destino”
La trama del libro
L’autobiografia narrata da Lomax si divide di fatto in tre parti. La prima parte descrive come fin dalla sua adolescenza trascorsa in Scozia dove è nato, la passione per le ferrovie si sia trasformata in una vera e propria ossessione. Le sue vacanze estive sono spesso dedicate alla ricerca delle locomotive più rare nella regione intorno alla sua residenza di Edimburgo. Quando più tardi arriverà l’arruolamento nell’esercito inglese, si trasformerà in un profondo conoscitore dei sistemi di trasmissioni militari raggiungendo il grado di Tenente. Inviato a combattere nel Pacifico in prossimità di Singapore finirà vittima della conquista dell’isola da parte dei giapponesi e loro prigioniero.
La seconda parte del libro è la più cruda. Lomax inizia a raccontarla con queste parole:
“Il giorno che ebbi visto i conquistatori, le forze britanniche rimaste ricevettero l’ordine di marciare verso Changi, nell’estremo est dell’isola, dove si trovava una prigione circondata da un villaggio. Era a quindici miglia di distanza.”
Il grande numero di prigionieri alleati, viene smembrato in tanti piccoli campi. Nel campo in cui viene internato, Lomax partecipa alla costruzione di una radio ricevente, sfortunatamente scoperta dai sorveglianti giapponesi durante una perquisizione. La reazione dei guardiani é terribile. Lomax ed i suoi complici vengono barbaramente picchiati e, a causa del pestaggio, due di loro perdono la vita.
Il seguito è una successione di trasferimenti in altri campi, lavori forzati, interrogatori estenuanti, fame, sete, torture fisiche e psicologiche senza fine. Lomax riesce a sopravvivere ed alla fine della guerra potrà tornare in patria. Psicologicamente devastato.
Sopravvissuto all’inferno
La terza ed ultima parte del libro è la più coinvolgente. Ed è dedicata alla ricerca di un nuovo equilibrio di vita in cui Eric Lomax, aiutato da Patti la seconda moglie, cercherà di sconfiggere i suoi fantasmi.
Mi sento di dichiarare qui il sentimento che ho provato dopo la lettura di tutto il libro. E’ un sentimento di pena e di ammirazione nello stesso tempo. L’autobiografia di Lomax non può che confermare quanto spesso la realtà può arrivare a limiti impensabili, superando le fantasie che ci sembrano più azzardate. E ciò in entrambi gli estremi: quello del dolore e quello dell’amore.
Vorrei chiudere con alcune frasi della parte conclusiva del libro. L’autore sta parlando con Nagase Takashi, il suo aguzzino, dopo averlo ricercato e ritrovato cinquant’anni dopo quei tragici avvenimenti. E’ Lomax che narra:
“Chiese se poteva toccarmi la mano. Il mio ex inquisitore mi afferrò il braccio, più robusto del suo, carezzandolo quasi inconsapevolmente. Non trovai la cosa imbarazzante. Mi strinse il polso con entrambe le mani e mi disse che mentre mi torturavano – usò proprio questa parola – mi aveva controllato il battito. Ricordo che l’aveva scritto nelle sue memorie. Eppure ora che ci trovavamo uno di fronte all’altro, il suo dolore sembrava più intenso del mio. ‘Ero un membro dell’Esercito Imperiale Giapponese, abbiamo trattato i vostri uomini, molto, molto male.’ ‘Siamo sopravvissuti entrambi’, dissi io, confortandolo, e credendoci davvero. […]”
Il finale a chi avrà voglia di leggere questo bellissimo libro. Grazie.
Vedi anche:
“LE DUE VIE DEL DESTINO” regia di Jonathan Teplitzky – il film
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